Il paese delle meraviglie è l’Italia. E noi siamo, inevitabilmente, Alice che si ritrova «nel bel mezzo di una fiaba».
L’Italia delle meraviglie è inesauribile, e lo è anche là dove ci si aspetterebbe desolazione e distruzione. Perfino nelle periferie. Chi mai immaginerebbe non a Venezia o a Treviso, ma poco lontano da Mestre un convento di monache di clausura che custodisce una delle più preziose icone di Costantinopoli (forse la Nicopeia) con una coperta d’argento, tra le più grandi e raffinate che si conoscano? Chi si aspetterebbe di trovare a Santa Cristina al Tiverone una delle più belle pale d’altare di Lorenzo Lotto? Ci si può perdere e girare e ritornare indietro, continuamente sorpresi come a Borso del Grappa, dove, nella chiesa di Sant’Eulalia, è custodita la lapide del centurione Caio Vettonio Massimo, nella quale i nomi della primavera e dell’autunno sono poeticamente trasfigurati in due neologismi latini (così originali da stimolare certamente la fantasia linguistica di un Andrea Zanzotto): «Rosales et vindemiales», la stagione delle rose e la stagione della vendemmia.
Meraviglia e stupore ovunque: per esempio a Mussolente, sotto la vertiginosa Villa Piovene, nelle cui stanze segrete molti anni fa mi accadde di vedere una Madonna col Bambino di Alvise Vivarini. Palmo a palmo ho battuto negli anni lontani quel territorio, ritrovando la misura dei templi greci nella Villa Cappello di Cartigliano e, poco più lontano, i vagiti del primo Jacopo Bassano, a Santa Croce Bigolina, il cui solo nome evoca remoti piaceri infantili...
VITTORIO SGARBI
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