Addirittura due pezzi in prima pagina su altrettanti quotidiani, la Repubblica e il Manifesto, dedicati alla mia trascurabile persona colpevole di essere tornata alla direzione del Giornale che ha un difetto imperdonabile: appartiene alla famiglia Berlusconi. Il noto moralista dell’ultima ora, Giuseppe D’Avanzo, sul quotidiano di San Carlo De Benedetti sfodera nell’occasione una figura retorica per lui nuova: l’ironia. Dimenticandosi che questa è un’arma pericolosa se maneggiata senza perizia; può uccidere chi la usa e non chi dovrebbe esserne colpito. Il lettore frettoloso, come la maggioranza dei lettori, bevendosi la prosa di D’Avanzo non capisce se è di fronte a un paradosso, cioè a una verità acrobatica, o a qualcosa da prendersi alla lettera. Intendiamoci, lungi da me il desiderio di criticare lo stile dell’insigne editorialista: semmai voglio segnalare che il mio censore, nell’impegno del suo esercizio, perde di vista la realtà e mi attribuisce concetti mai espressi nel fondo d’esordio...
Alla Mecca il profeta preferito dai musulmani era Mosè; a Medina il suo posto fu preso da Abramo, e Maometto trovò ottime risposte da opporre alle critiche degli ebrei:lui e i suoi musulmani erano tornati allo spirito più puro della fede (hanifiyya) proprio di quegli uomini che erano stati i primi muslim a sottomettersi a Dio. Non sappiamo fino a che punto Maometto abbia condiviso il desiderio di alcuni arabi degli insediamenti di tornare alla religione di Abramo. Nel Corano non viene fatta menzione della piccola setta meccana hanyfiyya;e la figura di Abramo prima delle sure medinesi fu oggetto di scarso interesse. Tuttavia, sembra che in questo periodo i musulmani chiamarono la loro fede hanifiyya, la vera religione di Abramo. Maometto aveva quindi trovato una via per confutare gli ebrei, senza abbandonare l'idea centrale della sottomissione a Dio anziché a una mera espressione terrena della fede, e la rivalutazione dell'importanza di Abramo gli permise di approfondire tale c...