CELINE E FERRARA

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LE MONGOLFIERE, CELINE E FERRARA 

di MARCO TANI

….Bisogna percorrere oltre duecento pagine dell'autobiografico labirintico "Mort a crédit" per ritrovare un giovanissimo Celine che sorvola a bordo della sua macchina da scrivere con l'inventore scienziato  visionario Curtial la sonnolenta città di Ferrara in mongolfiera.  Mancavano ancora molti anni a quel "vojage au bout de la nuit" che oggi interpretano in realtà tutti coloro che, protetti solo dalle mura di cinta trasformate in palestra di jogging e luogo di raccoglimento per professionisti della lettura all'aperto, si armano di computer o supporti in tela per produrre opere d'arte comunque destinate a diventare fiori d'acciaio per il grande giardino che circonda la città del silenzio dove la morte, intesa come immobilità, è sempre a credito e la vita, intesa come movimento, va inventata tutti i giorni come pane guadagnato all'istante col sudore dell'azione creativa. Sugli spalti di queste mura si consumano amori, affari, solitudini. Parlare di una Ferrara futurista può sembrare un naturale controsenso se non consideriamo il nulla della nebbia economica, politica e vitale che, ristagnando nel quadrato delle mura estensi,  diventa il luogo logico del nostro piccolo big bang che si esprime in parole, linee, volumi o suoni, più sinteticamente in arte. E' una liber-azione, nella città che ogni anno dedica una giornata del suo "parco Bassani" al volo delle mongolfiere, di chi può solo sorvolare, spinto dall'aria calda della propria anima, il luogo tradizionalmente impantanato, impenetrabile, restio al futuro, dove la visibilità dei singoli ha ritmi e connotazioni feudali, dove il paesaggio è un naturale deserto dei tartari al confine con l'operosa Emilia che, nel volo  da occidente, mostra la fine della sua mappa vitale di industrie sulle sponde del Reno per divenire  il "MAGNUM VACUUM" di un passaggio a nord-est dai toni occulti e, proprio per ciò, fascinosi e irresistibili. Siamo nell'urbe che non ha saputo dedicare un museo a  suo figlio Antonioni ma in pieno centro ospita la statua del minaccioso e antirinascimentale Savonarola (mi sono sempre chiesto: ma non spaventerà i bambini?) che l'arte e la bellezza notoriamente le odiava. Qui l'addizione matematico-erculea rivela il suo punto di maggiore splendore nel tratto di mura fra i due cimiteri ebraico e cristiano, noto come "Mura degli Angeli"(Gli angeli del Giudizio Universale? Una bergmaniana apertura del settimo sigillo?) letteralmente Rampari di Belfiore. Vogliamo fare una bella passeggiata? Andiamo verso il cimitero o verso la Casa del Boia. Verso la morte, a Ferrara, si ritrova la vita.  Vogliamo uscire da questo itinerario? Immergerci nel centro stantio dalle vetrine che si spengono prima dell'ora di cena? Moriremo di depressione. D'altronde della Serenissima Venezia cosa ci manca? Il ponte dei sospiri. E di Roma Caput Mundi? L'infausta bocca della verità delle lettere anonime. Sarà per questo che dopo i disastri architettonici del secondo dopoguerra, l'orrorifico palazzo degli Specchi e l'ospedale di Cona, nostra tela di Penelope, il primo lavoro indubbiamente encomiabile è proprio il restauro delle mura ducali di una città che ha reso obbligatori persino intonaci e colori delle case come le divise di un ottocentesco collegio clericale. Un pizzico di salvezza lo troviamo nel Torrione delle mura cittadine, ex sede di un collettivo femminista all'imbocco di Rampari di Belfiore, in cui oggi trova il suo spazio vitale il tempio locale del jazz, alla faccia della morte civile che incombe tutt'intorno. Pare impossibile, ma a due passi dal cimitero che ospita le ceneri di Bassani e degli oramai mitologici Finzi Contini dall'incerto vero cognome, in piena "mura degli Angeli" si levano l'angelica voce di Billie Hollyday e l'impareggiabile  tromba di Chat Baker.  Al saturnino no alla fantasia che la melanconica Ferrara sembra suggerire sottovoce, ad ogni iniziativa dei suoi artisti, dall'eterna artrosi della sua vita immobile, ognuno di noi deve opporre la propria gioiosa volontà di creare, muovere, ridere anche dove ci sarebbe, a rigor di logica, da piangere.  A noi il compito di rinverdire l'assunto surrealista del grande eretico Dalì, più che mai indicato qui, fra i ben noti  fantasmi delle paludi di San Giorgio, dove l'unico santo del calendario che forse non è mai esistito, un mito, una leggenda egli stesso, un continua però ogni giorno ad uccidere il suo drago:

"Le sabbie mobili dell'automatismo e dei sogni scompaiono al risveglio ma le rocce dell'immaginazione sopravvivono"         

MARCO TANI

http://digilander.libero.it/confratchianti/libri_celine-morte.htm