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Tagliare il personale? Per le banche significa smettere di investire


Da: Newsletter Financecommunity.it  
 


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Newsletter N° 211 del 09 ottobre 2019

Tagliare il personale? Per le banche significa smettere di investire


di laura morelli

È notizia di qualche giorno fa che Hsbc sarebbe pronta a tagliare 10mila dei suoi 238mila posti di lavoro, oltre ai 4.700 annunciati in estate, con l'obiettivo di ridurre i costi in risposta al calo dei tassi di interesse, alla Brexit e al protrarsi del conflitto commerciale. In questa decisione la banca non è sola, anzi. A livello globale gli istituti di credito hanno annunciato più di 48.500 tagli al personale, giustificandoli quasi sempre con le stesse motivazioni: riduzione dei costi, calo della redditività, tecnologia.
 
Back office, filiali e call center sono i settori più colpiti, stando a un'analisi di Wells Fargo. Ma non solo. Sotto la scure dell'amministratore delegato ad interim di Hsbc Noel Quinn, ad esempio, sono finiti quei professionisti in posizioni ad alta remunerazione, ma considerati poco performanti.
 
In Italia la situazione è meno critica. Stando alla Fabi i primi nove gruppi bancari del Paese prevedono nei rispettivi piani industriali 30.114 esuberi (e non licenziamenti): di questi 16.434 già completati e 13.680 da realizzare entro il 2020. Per la Fabi, inoltre, il Fondo per l'occupazione ha consentito l'assunzione di 20.550 under 35, di cui 1.538 nel 2018, con un rapporto di 1 a 3 rispetto alle uscite. Un ricambio generazionale, dunque, che però da solo non è sufficiente e vedremo perché.
 
Nel complesso, comunque, cosa ci dicono questi numeri?
 
Innanzitutto, che a livello generale le banche sembrano non riuscire a venire a capo alla questione della scarsa profittabilità che le attanaglia e anzi stanno cercando di tappare i soliti buchi. I tagli sono la soluzione più semplice e immediata. E anche efficace, se la guardiamo nel breve periodo e da un punto di vista dei conti. Ma quanto è sostenibile nel medio e lungo periodo? La risposta, probabilmente, la sappiamo già.
 
In secondo luogo, il licenziamento dei professionisti più "onerosi" per la banca è sintomatico di un cambiamento della figura del banker e del suo prestigio nella community finanziaria. Lo status non è più sufficiente e la produttività, l'efficienza, diventano un discrimine come in altre industrie. Un tema che vale la pena tenere in considerazione.
 
Terzo, poche banche finora hanno compreso che non basta licenziare o assumere giovani. La trasformazione tecnologica passa soprattutto attraverso la formazione. Serve lavorare sul capitale umano a tutti i livelli dell'organizzazione, investire e ricollocare. Perché la tecnologia può davvero essere la carta vincente nella partita della redditività ma devono esserci esseri umani in grado di governarla. Sembra impossibile? Qualcuno lo fa già: Dbs, una delle principali banche di Singapore, ha investito 50 milioni per riqualificare gli oltre 500 addetti del call center e formarli nell'uso delle nuove tecnologie e dei nuovi canali, dai social ai dispositivi biometrici. Col risultato che questi 500 dipendenti ora sono social media manager, live chat agents, voice biometrics specialists ed esperti digitali. Sono loro i più titolati a traghettare la banca verso un futuro diverso e innovativo. E senza tagli, ma con più investimenti.
 

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