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ALDO MORO E l'AMERICA

Casalino Pierluigi

Sono trascorsi cent'anni dalla nascita di Aldo Moro e forse solo ora dopo la sua tragica fine si può recuperane la storia e approfondirne il profilo politico in tema di relazioni internazionali. E Moro aveva maturato una conoscenza importante del sistema bipolare internazionale ed era, nonostante la diffidenza per la sua oracolare profezia politica, considerato dagli USA un interlocutore fondamentale, quasi imprescindibile. Moro, dal canto suo, si presentava come un intellettuale in grado di interpretare e prevedere, se non pilotare verso mete di grande apertura e novità la società italiana. Moro si adoperò, contemporaneamente, sulla scia di De Gasperi, a perfezionare il processo di reintegrazione e di ammissione dell'Italia negli equilibri europei e mondiali. Aldilà di certa cattiva stampa egli non fu mai statico, né indolente nella difesa del suo progetto, cercando di attuarlo con una capacità notevole al fine di renderlo funzionale al raggiungimento di un obiettivo di grande respiro moderno. Diversamente da altri suoi colleghi e non solo democristiani non era provinciale ed aveva un spiccata conoscenza degli affari internazionali che osservava e studiava sulla base di un'intuizione non comune. Negli anni Settanta, pur in presenza - come si è detto - di una non celata incomprensione da parte di Washington (Kissinger temeva uno slittamento a sinistra forse non giustificato dal momento che anche il PCI berlingueriano fu accusato da Mosca di non casti connubi con la DC), Moro venne considerato una voce attendibile e necessaria nella rete internazionale. Solo oggi si comprende, anche oltre Atlantico, quanto valida fosse la linea di Moro nella ricerca di una reciproca legittimazione dello opposte forse politiche nel nostro Paese per uscire dallo stallo di una democrazia bloccata. Una linea che un'irritante ed ingiusta semplificazione ha fatto credere in modo errato all'apertura al comunismo.



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