Emilio Diedo recensione
Carla
Sautto Malfatto
Farfalle
e Scorpioni
Foto
di copertina della medesima autrice, Farfalla
e scorpione,
tempera e permanent su carta
Este
Edition, Ferrara 2015, pp. 128, € 12,00
Finalmente
– ne valeva davvero la pena! – anche Carla Sautto Malfatto ha
inteso portare in mano al pubblico fruitore di libri un assaggio,
solo un piccolo tassello, della sua creatività di narratrice e di
figurativa.
Nello specifico,
sono proposti una quindicina di racconti, solo una piccola cernita
fra i tanti bellissimi, pregevoli del suo repertorio, ed appena sette
– copertina e prima patella incluse – tra le altrettanto
meritorie, qualitativamente e quantitativamente, opere di pittura.
Ma,
in campo letterario, è doveroso far sapere che l’autrice vi si
dedica, mossa da autentica passione ed intensa verve, con apertura a
tutto tondo, essendo anche ottima poetessa e all’occorrenza valida
saggista. Ambiti che, nessuno escluso, le hanno procurato esiti più
che lusinghieri. Ha di fatto ottenuto riconoscimenti a iosa. Basti
pensare che – lo evidenzia la nota curricolare nella seconda aletta
– quest’opera prima ha anche l’encomiante, simbolico
significato del festeggiamento della sua centesima affermazione
artistica. Una vera soddisfazione, al di là del varo di questa
stessa pubblicazione. Appare persino superfluo dire che sia, questa,
una pubblicazione inclusiva di opere premiate, quasi tutte,
letterarie e figurative. Non poteva che essere così.
Inevitabilmente. È difficile che un centinaio di premi non
riguardino pressoché la globalità dell’operato della nostra
autrice, per quanto ampia possa esserne la produzione.
La
raccolta, oltre alla dedica, di natura domestica, in prima pagina,
cita ad esergo un azzeccatissimo dialogo tratto da un brano di
narrativa del giornalista-scrittore nonché sceneggiatore Carlos Ruiz
Zafón, spagnolo di nascita (Barcellona, 25.09.1964), ora residente a
Los Angeles. La sostanza dell’epigrafe è che ogni libro rispecchia
l’Io di chi lo scrive, ma – lo si può evincere implicitamente –
anche di chi lo legga.
Intanto, come
primo spunto, è il caso di dire che la narrazione d’insieme è
valorizzata da un ampio metaforeggiare.
Nonostante un
contesto narrativo tematicamente vario, purtuttavia non scevro di
coerenza di stile, di metodo, d’affabulanti spunti originali nonché
di note di vivacità, Carla Sautto ha preferito darne struttura in
base ad un’impostazione di fondo consequenziale. Di modo che
esordisce con un Prologo e termina con un Epilogo, scegliendo cioè
per l’uno e per l’altro due autonomi racconti, logicamente ad
inizio e in chiusura.
Sono convinto
anche per altro che la quindicina di racconti, variegato insieme del
libro, non siano stati collocati casualmente. Agevolmente si deduce
che, partendo dai basilari valori, prioritari e fondanti, della
localizzazione geografica ed etnografica – cfr. Cappellacci
alla zucca
– dei luoghi, primi veri protagonisti del narrato – le terre del
Po ed i suoi agresti dintorni ferraresi, dove l’eclettica autrice
da sempre vive, cfr. Io
e il fiume
–, sono proposti argomenti via via più generici, che a poco a poco
smuovono la tipicità topografica – idrogeografica, florofaunistica
nonché antropomorfa, in particolare culinaria –, fino a farla
divenire, e senza che il lettore se ne accorga, insignificante
tematica. Il filo viene così ad avere un definitivo ordito affatto
introspettivo. Talché le iniziali coordinate, che ormai hanno
indelebilmente fissato il plateau
della fiction,
in un itinerario che si avviluppa frenetico nella tendenza
all’esclusione delle medesime coordinate d’origine – ne è
anticipata la precisazione fin dall’inizio, nella noterella in
calce a p. 5 –, s’espandono poi in icone dall‘indubbia doppia
natura etica e psicologica: cfr. (Mettere
il titolo),
La
baby-sitter,
L’abete
di destra,
La
spazzolina,
Che
differenza fa,
La
collezione d’insetti,
Sandra,
Il
tempo delle piccole cose.
Ecco che la ben determinata e determinante realtà – tale da far
avvertire, nell’icastica lettura, il concreto stazionamento dei
propri piedi per terra – riserva emozioni dirompenti, con animali
ed addirittura mere vite uterine (cfr. Naviganti)
che, nella tenuta esplicativa d’un sovrano io-narrante, diventano
autori di loro singolari, quanto improbabili ma avvincenti, diari.
Risaltano isole-non-isole – in quanto contesti d’un unico
ensemble,
ben concepito nella sua evolvente trama – d’elevata quintessenza,
vere lodi all’Uomo, predestinata creatura tra le creature ed
espansione allo stesso Creatore e alla Natura nuda e cruda, intesa
quale mezzo di vita e di continuità – cfr. La
testa;
ancora Naviganti;
La
promessa;
L’ultima
occasione
d’un gatto penitente che comunque riconosce la forza dell’umana
presenza e la sua necessità di sottomissione ad essa; come pure
Sandra;
ed Il
tempo delle piccole cose;
nonché la terrificante testimonianza che perviene da Una
stretta di mano,
in cui il male risulta essere compresso nel dna
dell’individuale esistenza.
Farfalle e
Scorpioni è
titolo plastico che rimarca esattamente un’ossimorica scrittura.
Agglutina ma nel contempo contrappone la diafana, aggraziata
delicatezza dell’esile volo dell’esistere alla riprovevole,
pungente bruttezza, intesa nel suo doppio senso, morale e fisico.
Antitesi volta alla coscienza che la doppiezza contribuisce a rendere
l’esaustività delle vicende, avventure o disavventure, che
supportano il vivere quotidiano.
Detto ciò,
crederei fosse già insito che la raccolta della nostra scrittrice
trasformi in ‘bellezza’ le aneddotiche dell’umano vivere e
convivere. Perciò, è ponendo in primo piano la filosofia
dell’esistere, focus
d’una
metafora, e nel contempo allegoria, che il raccontare assorbe
materiale dovizioso d’allettanti baluginii scritturali, carico
d’acchitali misteri, d’itineranti sorprese e finanche d’inattese
conclusioni. Esperimentando, alla fin fine, l’unitaria
consapevolezza dell’autrice, in
primis,
e del lettore, di conseguenza, si trova anche conferma alla
surriferita versione dell’esergo: il libro appartiene all’autrice
ma poi diventa patrimonio del lettore. Altrimenti, in
extenso,
potrebbe
essere affermato che ‘fare arte’ e di conserva ‘interpretare
l’arte’ siano un univoco flusso d’estetica chiarezza, la cui
portata, demarcantesi specialmente nella gittata qualitativa, sta in
un giudizio obiettivo assoluto, oggettivo piuttosto che soggettivo:
il bello è bello perché indice d’assiomatica bellezza.
È
pure implicitamente chiaro che Carla Sautto, oltreché consapevole
del concetto del bello, sia altresì e, nella sua singolarità,
eloquentemente capace d’esprimerlo. Lo certificano i risultati
ottenuti sul campo.
Significativo,
esatto riscontro di quanto ora asserito sul piano stilematico che la
riguarda si rileva invariabilmente, per intensità di metafora e per
bravura tecnica, nelle foto riproduttive delle sue opere d’arte
visiva. Tecnica qui ancora più in risalto rispetto alla scrittura,
proprio per l’ovvia difficoltà che tale disciplina in sé
richiede. In proposito si considerino: la già citata Farfalla
e scorpione,
in prima di copertina; Mi
esprimo,
nella prima aletta; Ecco
che s’anima…,
p. 4; Si
raccoglie quel che si semina (?),
p. 6; La
mia fantasia,
p. 122; Voli
d’arte,
p. 124; La
mano del destino,
p. 126.
Riproduzione
d’opere che, rispetto alla contestuale narrativa, esprimono forza
psicologica pura, avvalendosi d’una stratosferica metafora che,
nell’espressione pittorica non può altro che avere massimo
significato di allegoria. Allegoria altrettanto elevata,
naturalmente.
È
solo un peccato che, a parte le due di copertina, le immagini siano
godute dal fruitore in bianco e nero.