Un ricorrente tema pervade gli studi degli storici d'Europa, quello sulla coscienza e sull'estensione e sull'interagire tra di esse. Tema che affiora nel dibattito europeo in modo compiuto nel XVIII secolo. E gli uomini del Settecento furono i primi a coltivare questo pensiero, anche se, a mio avviso erroneamente, alcuni ritengono che considerazioni simili saranno formulate solo nel XIX secolo. Tesi quest'ultima, abbracciata anche dal Morandi, appare, in ultima analisi, assolutamente inaccettabile, Voltaire escludeva dalla "Europa spirituale" la penisola balcanica, allora sottomessa ai turchi, e vi includeva, invece, la Russia, quella Russia lontana ed enigmatica, come tutte le Russie di ogni tempo, pressoché sconosciuta dai popoli europei fono all'epoca di Pietro il Grande, che portò idee e costumi europei al suo paese, dopo secoli di dispotismo. Il giudizio di Voltaire anticipava di molto il passo della Russia, stante l'ottima relazione tra gli illuministi e la grande zarina Caterina: un processo di occidentalizzazione che verrà messo in causa dalle correnti slavofile e grandi-russe del XIX secolo, segnale di quel ripiegamento messianico.ideologiche che fu rappresentato dalla Russia sovietica. E nonostante ciò, la Russia rimase ancora, per allora, in fase passiva, accettando le influenze occidentali, ma dando poco del suo. Un contributo che, al contrario, i popoli europei tradizionali, pur nei contrasti, sanno dare reciprocamente. La Russia del Settecento non diede migliore prova di sé anche dopo il Congresso di Vienna, lasciando intendere che restava ancora a metà tra la civiltà europea e il genio asiatico, questione tuttora aperta in epoca post-sovietica. Se è vero, peraltro che la Russia prese coscienza del suo ruolo attivo, almeno nell'Europa centrale, e sia sentita parte di tale sensibilità, si arriverà al XIX secolo, quando i nomi di scrittori come Tolstoj e Dostoevskij divennero nomi comuni anche per l'opinione pubblica dell'intero Vecchio Continente. Una testimonianza di come e quanto l'Europa si ampliasse dalla stessa intuizione settecentesca sia in termini quantitativi che qualitativi. Circa, infine, la posizione dell'Italia, in secondo piano nel Settecento, nonostante Giambattista Vico, enormemente più avanti del suo tempo, va onestamente detto che, se la Penisola e la Russia (Voltaire) erano unite per le lettere, l'Italia soffriva di una condizione arretrata culturalmente e democraticamente. Il contributo dell'Italia alla sensibilità europea nel XVIII secolo e fino ai primi decenni del XIX fu, in fondo, assai modesto, aldilà di studiosi come Vico, appunto e poi di Carlo Cattaneo.
Casalino Pierluigi, 24.02.2015