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Enrico Pietrangeli "Mezzogiorno dell'animo" (Cleup, Padova, '11) recensione di Emilio Diedo

Cleup Padova, enrico pietrangeli, emilio diedo

Enrico Pietrangeli

Mezzogiorno dell’animo

In copertina Enrico Pietrangeli - foto di Roberto Colombo

Introduzione ed Appendice del medesimo autore

Edizioni Cleup, Padova 2011, pp. 100, € 12,00

 

Sulla falsariga delle sue trascorse pedalate, propositive oltreché di poesia, di sapienziale cultura etnologica, estese all’intera Penisola (Sicilia Poetry Bike, 2008 e 2009, CicloPoEtica 2010 e CicloInVersoRomagna 2011), lo scrittore e giornalista Enrico Pietrangeli ha voluto proporne una ulteriore, di pedalata. Sorta di nostalgico repêchage e nel contempo di nuova fervente, originale aire. Pedalata anche ideale questa volta, ed un tantino più personale del solito (lo scopo è la presentazione di questo suo ultimo libro), nel mondo del dolore: CicloInVersoEmilia 2012. Un itinerario che verrà riproposto, nell’intento di presentare il libro, anche con altre mete geografiche, secondo due programmatici cicli, quali obiettivi minimi: CicloInVersoToscana e CicloInVersoRoma, quest’ultima coinvolgente, al di là dell’apparenza, non solo la Capitale ma anche altre località laziali.

 

Percorso, teorico e reale come s’è detto, che si snoda per una serpentina di vie che, tappa dopo tappa, location dopo location, segnano l’univoca strada maestra della speleologia del dolore. Alla ricerca delle sue esplicazioni ed implicazioni: Il prologo del dolore; L’agnosticismo del dolore; La metamorfosi del dolore; Il contrappunto del dolore; L’anamnesi del dolore; Le fobie del dolore; Il prosimetro del dolore; Gli scherzi del dolore; Gli epitaffi del dolore; L’esegesi del dolore; L’epilogo del dolore; La traduzione del dolore. È da questi dodici, metaforici ma spesso icastici, trampolini che ci si tuffa nella propedeutica alla conoscenza del dolore.

 

Com’e agevole constatare dai titoli delle succitate composite sequenze, ognuna delle quali supportata da un variabile numero di pose teoretico-estetiche che ne scandiscono il contesto, il nostro poeta, modellandone di volta in volta la poesia, insegue i molteplici significati appartenenti all’espressione del dolore.

 

In tali dodici rappresentazioni, dodici performance d’accostamento al dolore al suono di poetiche note, l’iniziale dichiarata nonchalance (agnosticismo), afferente il polo estremo della conoscenza, che in embrione è ancora ossimoro d’ignoranza, presto diviene, tramite kafkiana metamorfosi, il ponte di quel cambiamento che incide nella tangibilità della ricerca verso essa conoscenza, intuizione. Intuizione atta a tentare, se non di contrastarne, almeno di capirne la concreta forma o altrimenti la sua patita manifestazione (contrappunto).

 

Grazie sempre all’impronta d’un’accurata, metodica, ben manovrata poesia, varcata la soglia dell’istintiva coscienza, incatenata ad un’ormai più solida presa di conoscenza del dolore, il nostro autore s’inoltra senza esitazioni in una semiotica che, intercettandone l’idea di fondo della struttura, destruttura il dolore (anamnesi). Carpendone perdipiù i tragici, drammatici risvolti d’una connaturata paura (fobie).

 

È poi allegoricamente esemplificativa, nel giro di svolta operato nella fantasia d’un macabro sarcasmo (prosimetro), la tenace mosca necrofaga, che dal suo tombale habitat riesce, sia pur casualmente, ad emergere alla vera vita, libera e dinamica.

 

Ancor di più, il poeta Pietrangeli si proietta nell’estrazione d’un paradossale ironizzare, sorprendendo il lettore con nientedimeno che lo scherzo.

 

Naturalmente non potevano essere trascurati gli epitaffi, elegiaci elementi compenetrati nella morte, dolore per eccellenza. Essi scandiscono la terminale, inevitabile, naturale meta del dolore.

 

A tal punto lo stimolo di tentarne un’interpretazione nelle note finalistiche dell’Onnipotenza (esegesi) conducono proprio verso l’epilogo dell’intraprendente ricerca del dolore.

 

E finalmente all’essere umano, che Pietrangeli simbolicamente incarna, dopo una sì lungimirante ed analitica retrospettiva del dolore, è data la possibilità d’avvicinarsi ad una prospettiva purchessia della sua universale comprensione: traduzione. Traduzione che, pure stando alla sua letterale espressione di traslativo momento da una lingua (nella fattispecie lo spagnolo) ad un’altra (l’italiano), trasuda la metafora d’un agognato traguardo tramite il quale saper trarre, dall’empirica, stoica, quanto controversa esperienza del dolore, un umano insegnamento, per quanto idealistico e blandamente, se non vanamente terapico possa essere.

 

Opera, questo Mezzogiorno dell’animo, che, contenuta dalle sponde d’un’ironia dell’esistenza, esalta da un lato il parametro teoretico, investendolo dell’alloro dell’arte poetica, con appena un lieve debordamento di genere, tendente alla prosa (cfr. Il prosimetro del dolore, pp. 62-66), e dall’altro lato sa trarre la contrapposizione d’una ludica ed a tratti drammatica verve. Ed è una poesia interpretata sulla plurima capacità espressiva, la più apolide, della parola e sulla sua plasticità, con la quale subisce un dinamico, continuo processo di disintegrazione e successiva ricostruzione, di frammentazione e deframmentazione.

 

È una rendicontazione poetico-letteraria nella quale, unitamente a numerosi altri versi inediti, quasi sempre di freschissima ispirazione, vari richiami delle precedenti pubblicazioni del medesimo poeta (cfr. Di amore, di morte, 2000-2002 e persino il romanzo In un tempo andato su biglietto di ritorno, 2005; ed antologie) confluiscono ad un unicum, sintonico per stilema ma soprattutto per univoca tematica.

 

Con non lesinata apertura ai gangli della quotidianità ed a tutti i suoi naturali quanto umani risvolti (sentimenti, affetti… emozioni), tra l’amore e la morte, Enrico Pietrangeli è degno cantore della Vita.

 

Mezzogiorno dell’animo ha, in definitiva, il senso della pausa prandiale, sia ristoratrice che meditativa, necessaria affinché il poeta, come ogni altro genere di artista, possa nutrirsi di quanto abbisogna il suo fisico e la sua mente. Quest’ultima identificabile nell’anima.

 

Emilio Diedo

 

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