TRUMP DALLA POST-VERITA' ALLA REALPOLITIK?

Donald Trump dovrà sicuramente rimpiangere i tempi della campagna elettorale e dei suoi comizi infiammati, dove ogni battuta ad effetto era permessa. Nel 2015, lanciando la sua candidatura, puntava il dito sulla Cina, accusandola di svalutare la sua moneta in modo incredibile e indecoroso: la sua promessa era quella, una volta eletto, di marcare con il segno rosso tutti quei paesi disonesti che manipolavano la loro divisa. In realtà tale atteggiamento ostile nei confronti dei cinesi in USA non era nuovo e risaliva al 1994. Ora, dopo aver trascorso qualche giorno nel gradevole clima della Florida insieme al leader cinese Xi Jinping, Trump concedeva al Wall Street Journal un'intervista in cui la Cina non era più definita un paese manipolatore della moneta. In un momento in cui la Cina annuncia un grande balzo in avanti delle esportazuioni, Trump sembra rimangiarsi le invettive al vetriolo della campagna elettorale., anche perché, a dire il vero, la Cina, dal 2014, tenta di evitare un eccessivo ribasso della moneta dell'Impero di Mezzo piuttosto che il contrario. E ciò anche per evitare la fuga dei capitali. L'altra ragione di questa inversione di tendenza di Trump è quella di avere l'appoggio della Cina nella questione coreana. A differenza dei suoi precedessori, Trump, appare disinvoltamente e repentinamente cambiare idea su molti punti del suo programma, al punto da criticare persino il livello del dollaro. Tutte queste sono considerazioni (ma ma non solo queste) di quanto l'attuale inquilino della Casa Bianca non brilli di coerenza politica e di quanto sia sempre di più convertito al realismo politico.
Casalino Pierluigi