Il 30 marzo di tre anni fa moriva Franco Califano. Di passioni e di amori si vive e si viaggia di Pierfranco Bruni


 di Pierfranco Bruni



Il 30 marzo di tre anni fa moriva Franco Califano.
Di passioni e di amori si vive e si viaggia

Una delle componenti "vortice" nei testi di Franco Califano è certamente il tempo. Il tempo che passa. Il tempo che segna le storie. Il tempo inesorabile che lascia ferite e si infila nei giorni. A salvarci dal tempo c'è sempre la malinconia ma l'accoglienza dell'accettazione diventa, comunque, fondamentale. E questo tempo inesorabile resta sempre legato all'amore, agli amori, alle avventure in un intreccio che sembra indefinibile ma è soltanto il cammino tra i deserti dell'anima e le pieghe dell'esistenza. Su Franco Califano, scomparso tre anni fa,  ho tanto lavorato. Un libro ("Sulla punta di una matita", Il Coscile), un Video e una trasmissione sulla Rai.

"Passano gli anni/e con gli anni stai passando anche tu/com'eri bella, ora vedo che non lo sei più" (da "Passano gli anni"). Amore e tempo sono la misura del quotidiano che si trasforma lentamente in una fragile nostalgia. E tra questi rigorosi gesti dell'anima e della fisicità c'è la bellezza.
Ogni amore ha la sua suggestione perché custodisce la bellezza e dura sino a quando il tempo non ci conduce davanti ad uno specchio. E lì che si consuma "la luce dell'alba" (da "La mia dolce malattia") e gli abbandoni. Gli amori  finiscono, perché gli amori finiscono nello stesso modo in cui esplodono e viaggiano nell'estesa e tutto sembra sublime sino a quando resistiamo a confrontarci con lo specchio, e anche quando si pensa che possano essere eterni  non sono perché sono cangianti, mutevoli, arrendevoli.
La passione dell'incontro è la leggera malinconia nella resa della fine degli amori. Franco Califano ha recitato questi amori tra la bellezza e la bellezza infranta. "Passano gli anni/tu fai finta che non è così,/non accetti il tramonto dei giorni,/non accetti la vita (ancora da "Passano gli anni"). Perché passano si è costretti a fare i conti con l'età. Il tempo fa i conti con l'età. Sempre. E l'età si misura tra gli amori vissuti e gli amori mancati e mancanti. Come nel testo "Cos'è l'età".

Versi che bloccano l'immagine e rendono tutto immaginario e misteriosamente penetrante la fantasia degli spazi degli amanti. Ma cosa è questa età tra due amanti? "Tanti anni ti separano da me". Gli anni? "io più ti guardo e più ti guarderei,/sei bella./Se vuoi io mi fermo il tempo mio per te,/se vuoi puoi già legarti insieme a me" (da "Cos'è l'età"). Ma è l'arco di un profondo legame tra corpo e anima che lega e slega la fragilità e la forza dell'amore: "Io non accetterei di avere il corpo tuo,/voglio anche l'anima!" (da "E' tutto inutile se non ce la fai").
È qui il punto. Anche se alla fine tutto si può chiudere con un ricordo. Il ricordo di un vento che spettina i capelli dell'amore e questi capelli sono radici, radici che stringono il corpo – eros e lo sguardo – malinconia. "Auguri/questa è una data che non mi scordo/anche se tu non sei che un ricordo,/ora sto pensando a te" (da "Auguri"). 
Ricordare è ricercarsi nella nostalgia perché, alla fine, è la nostalgia che ci conduce, mano nella mano, "amore mio", nella bellezza fino a quando è possibile fermare i tagli di tempo. Ci sono questi tagli anche quando si vive "L'impossibile fino alla fine". I versi di questo testo hanno la poesia dell'ascolto, del sentire e del silenzio di una musica che è data, comunque, da un recitativo poetico di straordinaria liricità. È questa liricità che rende maestro Califano.
Non mi si venga a dire che non c'è poesia nei versi de "L'impossibile fino alla fine". Non si gioca con i destini della parola scavata nell'esistenza. "Non è un caso che c'è la luna piena…/sfumata d'arancio…/distaccata dal mare…/la luna che va su…/sempre più su/è lontana… ma così vicina".
La magia del verso è l'incredibile mistero di una poesia che ha la delicatezza di una espressione che è fatta di attesa. L'attesa, sì l'attesa infinita tra le ombre e le luci. Ma perché questo amore? "Penso a noi due…/ad una effusione ambigua e maledetta…/e così perversamente tenera/da puntellarmi il cuore come una matita…/ma ti vorrei… e ti ho…".
Un incalzare costante tra l'attesa e lo specchio che la tristezza della ricerca. Questi amanti che non si trovano ma sanno che non c'è bisogno di cercarsi perché sono l'uno dentro l'altra. Con una chiusa preparata ma ad effetto Califano recita il tormento dell'amore: "Sei lenta, stentata e languida/come vuole l'eternità della passione,/il desiderio inappagato…//Ho te… così vicino da non riuscire a vederti/nei miei pensieri lo scroscio a pelo dell'acqua/scandisce un'intesa mai definita".
E poi la poesia è esplosone di incanto: "Non ci avremo mai!/non toccheremo l'arcano che risiede nella voluttà/e continueremo a godere l'impossibile/fino alla fine?... si… fino alla fine…". Questo impossibile sino alla fine è il richiamo dei destini intercalati in una vita che è solcata dalla consapevolezza sempre della noia e della malinconia, dal tempo che ci permette di non dimenticare ma anche di segnare di stelle quel "tempo piccolo" che è nel tempo lungo delle vite attraversate dalla speranza che ci incammina verso la capacità di afferrare anche un possibile ritorno.
Ma cosa è questo viaggio che non definisce la fine, che rende impossibile gli amori veri, che ci precipita nel tempo e ci fa vivere i passi degli amori fragili lungo quegli "attimi" che sono il sogno di una alchimia. Attimi d'amore come la magia che va catturata sotto le stelle e tra le vie di un "passato folle" e del tramonto.
Siamo incisi, ci suggerisce Califano, viventi come "appunti sull'anima" e con la consapevolezza che si precipita  nella "sera senza una stella accesa". E quando le sere non saranno più illuminate dalle stelle si è aggrediti dalla solitudine (cfr. "La solitudine") e si diventa "saltimbanco all'improvviso" (da "Poeta saltimbanco").  Da una via ad un porto senza alcuna ancora. Perché il pota è sempre nella distrazione di "dialetto e sale" (da "Uomini di mare").
L'unica verità questa volta possibile è soltanto la libertà /cfr. "La mia libertà") anche se si continuerà vivere "un passo dietro un passo" tra il buio e la luna piena. Con la certezza che "La mia vita questa vita è ancora buio e luna piena./…/Ora voglio l'aria, l'odore del vento che sa di frumento/Voglio la campagna, la terra d'arare, un po' di calore/Voglio quello che non ho" (da "Buio e la luna piena"). Un Luigi Tenco, in questo ultimo testo, dunque, che ha lasciato impronte nelle parole e nel graffio del verso che permette di scavare in quella "passione nei secoli" senza concedere nulla alla "pietà".
Rimane cosa? Già. In questo tentativo di un viaggio che si fa sintesi resta alla fine sempre quel "rumore del fiume, la sera" (da "La nevicata del '56"). Uno scorrere di pagine i di fogli incastonate tra le foglie di stagioni di un tempo impossibile e irrefrenabile che si fa memoria nella soffitta del nostro essere ma anche ricordo.
Nel ricordare Calfano immerge il suo passato e lo rende estremamente lirico, poetico in una estetica, a volte, che ha un gioco di armonie alte. Da qui ai versi di impasto dialettale come la cifra delle parole de "La malinconia". Ma poesia c'è.
Califano è nella poesia. Le distrazioni poetica è un vantaggio e non uno svantaggio. Il Califano che ha recitato l'amore è il Califano che intercala la poesia nel vento delle ore rubando la vita alla morte. Sino alla fine. Tanto da non escludere il ritorno.
Ma è poesia! E quando lo specchio si infrange resta la parola a raccontare l'avventura sfilacciata tra le maglie del misterioso incanto di "mondi immaginari (da "Ho giocato con il tempo"). Tanto da giocare con il tempo. Ed ha giocato con il tempo dando sempre un senso alla passione.
Una vita di passioni e di amori che hanno trascritto l'allegria e l'ironia, le tristezze e le malinconie di un uomo e di un poeta. Una vita di passioni battuta sulla tastiera delle parole e sui passi mai dimenticati e scordati di note che hanno segmentato i travagli di una esistenza.
Califano si è raccontato senza mai indugi e senza usare lo schermo delle maschere o del teatro nei trucchi insopportabili del mostrarsi altro. È stato quello che ha scritto. È stato quello che ha recitato, è stato quello che ha cantato.