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La regina Vittoria e le annessioni di Nizza (e Savoia). Curiosità storiche.

L'atmosfera di conciliante avvicinamento tra Napoleone III e
l'ambasciatore britannico a Parigi, Lord Cowley (e confermata da fonti
autorevoli del governo di Londra), subì una battuta d'arresto
improvviso ed una netta inversione di tendenza non appena cominciò a
prendere corpo nel Regno Unito un sospetto, sino allora sottovalutato
e considerato solo a livello di voce incontrollata: cioè che
l'intervento francese a sostegno della causa italiana fosse
accompagnato dalla pretesa di annessioni territoriali. In realtà. In
realtà la circolava insistentemente da tempo e non mancavano i
motivi che tale voce prendesse progressivamente consistenza. Napoleone
III aveva rappresentato con chiarezza questa sua intenzione al
Desambrois, uomo intelligente e di cultura occitana, era da parte
contrario in linea di principio alla cessione di Nizza e Savoia alla
Francia, ma, rispettoso del suo re, aveva accettato di portare avanti
il negoziato con l'imperatore dei francesi su una questione, a dire il
vero, assai complessa e spinosa per le conseguenze che cominciava ad
avere sul piano diplomatico in tutto il Vecchio Continente. Lo stesso
Desambrois consigliava il Dabormida, ambasciatore sabaudo a Parigi, di
spingere (come di fatto il diplomatico fece) Vittorio Emanuele II a
fare il possibile per evitare le due cessioni, proponendo se mai una
neutralizzazione di Nizza e Savoia. A tale passo seguì una nota di
Napoleone III che scrisse al sovrano piemontese per annunciargli il
suo nuovo piano: accettare in primo luogo il principio di non
intervento, e quindi di provocare una votazione generale nelle
province dell'Italia centrale sul loro futuro destino; rinunciare
francamente a nuovi ampliamenti territoriali negli Stati vicini;
lasciare, infine, a Nizza e Savoia la stessa libertà della Toscana,
uniformandosi ai voti liberamente espressi dalla popolazione.
L'ambasciatore prussiano a Parigi, appena appresa la notizia, denunciò
immediatamente il tentativo francese di avanzamento delle (allora)
attuali frontiere. Il diplomatico prussiano si adoperò energicamente
con i colleghi per coinvolgerli in tale mossa, consigliando loro di
invitare i rispettivi governi analogamente a quanto egli aveva fatto
subito con il proprio (governo) "de se montrer contraire à l'annexion
de la Savoie et (de Nice) comme étant un commencement dangereux
d'extension des frontières françaises". D'altra parte l'atteggiamento
di Cavour, tornato da poco al governo, non era particolarmente chiaro
o definito: da un lato rimproverava al Desambrois di difendere con
eccessivo zelo le due province; dall'altro sembrava piuttosto
confidare nell'assenza di uno specifico impegno del governo
piemontese, come pure dei sentimenti filo-italiani, oltre che della
devozione a casa Savoia, che avrebbero comunque essere espressi in
sede di plebiscito. Cavour si adoperava infatti ad utilizzare lo
stretto margine che ancora rimaneva nel tentativo di "salvare" le
province, senza pregiudicare l'irrinunciabile alleanza con la Francia.
I piani delle parti direttamente in causa vennero, peraltro, messi in
discussione dall'estendersi delle reazioni internazionali alla
ventilata annessione francese di Nizza e Savoia (un venir meno ai
principi sanciti nel Congresso di Vienna, tra l'altro). Assai dure le
reazioni inglesi. Primariamente c'era da registrare l'assoluta
contrarietà della regina Vittoria, il cui atteggiamento contribuì
ulteriormente "à precipiter des évènements en Italie". E l'allargarsi
dell'interessamento europeo veniva, anzi, a modificare i termini del
problema italiano. Le posizioni, se pur articolate, delle potenze del
Vecchio Continente, dalla eurasiatica Russia alla Prussia,
all'Inghilterra e alla stessa Confederazione elvetica, che avanzava la
propria aperta pretesa sulla Savoia, non deponevano bene per la
soluzione maturata nel 1859 tra Parigi e Roma.L'Austria, dal canto
suo, si mostrava più cauta per non creare le condizioni di un nuovo
conflitto con la Francia, alleata del Piemonte. Ma la protezione
francese si delineava sempre più finalizzata alla attesa cessione di
Nizza e Savoia. Sta di fatto che la questione di Nizza e Savoia stava
diventando cruciale, assumendo via via un rilievo superiore a quello
della Toscana e della Romagna. Il clima politico nel Regno Unito si
stava surriscaldando ed era particolarmente tesa la posizione della
regina che vedeva nelle pretese territoriali francesi un attentato
alla sicurezza collettiva in Europa. Evento che, intrecciandosi, tra
le altre cose, con la questione romana costituiva una vera e propria
mina vagante. Londra, in proposito, accusava Napoleone III di nutrire
"des vues usurpatrices sur le Rhin". Ma anche il Piemonte veniva, a
sua volta, accusato di venir meno ai suoi doveri verso i concittadini
nizzardi e savoiardi, attraverso "un ingegno mercato". La regina
Vittoria, in prima persona, sperava che la Francia ritirasse "l'odiosa
pretesa di espoliazione", mentre l'opinione pubblica britannica
pressoché coralmente cominciava ad agitarsi seriamente di fronte ad un
non chiaro ritocco delle frontiere. La sovrana non nascondeva di
essere irritata anche con lo stesso governo inglese per non aver
sufficientemente tenuto conto del suo punto di vista assolutamente
contrario alla politica franco-piemontese. Gli inglesi, a questo
punto, cercarono di far luce sull'intera vicenda, giudicata misteriosa
e piuttosto poco convincente". Napoleone III ricordò, però, a Lord
Cowley che "the question was upon the tapis before the war",
precisando che la cosa era stata decisa concordemente tra il governo
sardo e quello francese. La regina Vittoria, si diceva, era
"furibonda" e cercava di fermare ad ogni costo il "mercanteggio".
Occorre far presente che anche questa posizione della regina veniva
sfumata dal fatto che, in fondo, l'Inghilterra avrebbe voluto
l'annessione al Piemonte di tutta l'Italia centrale e si sarebbe
adattata alla lunga ad accettare la cessione della sola Savoia
(considerata in ogni caso una grave macchia per la monarchia sabauda),
ma non assolutamente della Contea di Nizza. Circostanza
incomprensibile persino per gli inglesi che soggiornavano beatamente
tra Sanremo e Nizza e che temevano riflessi anche su questa loro
condizione felice. La regina si stava impegnando per bloccare
l'operazione franco-piemontese, anche per ridimensionare il ruolo
della Francia, cercando di coinvolgere su questo piano anche le altre
potenze europee. Anche nella vicina Liguria di Ponente qualcuno faceva
notare a Cavour che, andando avanti di questo passo, Parigi avrebbe
richiesto anche Ventimiglia, Sanremo e Savona. Un eco di questi
avvenimenti si ebbe anche, come sopra accennato, sul versante
altrettanto delicato della questione romana (e del potere temporale
del Papa). Si ebbe chiara, a tale riguardo, l'impressione che le
manovre francesi erano rivolte unicamente ed essenzialmente a mettere
le mani su Nizza e la Savoia. E, del resto, anche Napoleone III era
tallonato dalla sua opinione pubblica, che gli rimproverava di essere
sceso in guerra a fianco del Piemonte per motivi oscuri e di aver
subito perdite pesanti sul campo di battaglia. La contropartita che
aveva da offrire ai suoi critici era ormai solo quella dell'annessione
di Nizza e di Savoia. Fu in questo contesto che Londra, rassegnata di
lì a poco a vedere passare la Savoia sotto la Francia, compiva
l'estremo tentativo per impedire almeno il trasferimento di Nizza
all'amministrazione francese. La regina sconfessò, come oltremodo
arrendevole, la linea di Lord Cowley. Le polemiche si protrassero a
lungo e andarono ad unirsi con le insofferenze di Giuseppe Garibaldi e
di molti altri illustri nizzardi e savoiardi, ma anche liguri, nei
confronti di un provvedimento che suscitò perplessità non irrilevanti
tra le fila del movimento patriotico italiano. Le genti nizzarde e
savoiarde furono liberate a malincuore dall'obbedienza al re sabaudo e
loro malgrado esse si adeguarono, nonostante che i plebisciti fossero
stati pilotati nel nome della ragion di stato. L'Inghilterra non
abbassò la guardia nei confronti di Napoleone III, che stava avanzando
già mire personali sul Regno delle Due Sicilie, quale alternativa
possibile a Nizza e Savoia, se la situazione fosse andata di traverso.
La Prussia aspetterà. dal canto suo, il momento propizio per
presentare il conto all'imperatore francese. La guerra
franco-prussiana qualche anno più tardi segnò la fine di Napoleone
III. Nizza si sollevò, acclamando Garibaldi, nel nome dell'unità
nazionale italiana, ma ormai la storia aveva compiuto un passo
irreversibile.
Casalino Pierluigi, 17.10.2015

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