L'atmosfera di conciliante avvicinamento degli ultimi incontri di
Napoleone III e di Lord Cowley, confermata da alcune dichiarazioni del
governo britannico, subì un'improvvisa battuta d'arresto ed
un'imprevista inversione di tendenza non appena cominciò a prendere
corpo un sospetto, sino ad allora sottovalutato, che l'intervento
francese a sostegno della causa italiana fosse accompagnato dalla
pretesa di annessioni territoriali. In effetti, peraltro, i motivi
perché la voce assumesse consistenza non mancavano. Napoleone III
aveva espresso con chiarezza tale sua intenzione al Desambrois,
mettendo il Piemonte nell'imbarazzante alternativa di perdere due
province o il prezioso aiuto francese. L'ambasciatore prussiano a
Parigi, appena appresa la notizia, consigliava il suo governo di
manifestare contrarietà all'annessione della Savoia in quanto tale
atto avrebbe consentito un avanzamento territoriale pericoloso della
frontiera francese. Il rappresentante prussiano non mancò di fare
analoghi passi presso i suoi colleghi diplomatici nella capitale
francese, per coinvolgerli in tale mossa. D'altra parte
l'atteggiamento di Cavour, da poco tornato alla guida del governo
sabaudo, non era, al riguardo, perfettamente chiaro o definito. Da un
lato, egli rimproverava al Desambrois di usare troppo zelo nel
difendere le province; dall'altro, sembrava piuttosto confidare
nell'assenza d'uno specifico impegno ufficiale del governo piemontese,
come pure nei sentimenti filoitaliani dei savoiardi, che avrebbero
dovuto in ogni caso espressi in sede di plebiscito. Cavour si
adoperava infatti ad utilizzare lo stretto margine di cui disponeva,
nel tentativo di "salvare" le province, senza pregiudicare
l'irrinunciabile alleanza con la Francia. Le reazioni inglesi, ed in
primo luogo il discorso dalla regina Vittoria e la replica di
Palmerston ad una specifica interpellanza del Disraeli, contribuirono
ulteriormente "à precipiter lews évenement en Italie" (vedi anche
Ardemagni, L'opposizione inglese alla cessione di Nizza e Savoia" e
altri studi, oltre che Salvatorelli, Poteva Nizza nel 1860 essere
conservata all'Italia?" in Prima e dopo il '48, Torino, 1948). Si può
dire che l'allargarsi dell'interessamento europeo alla questione
italiana, per il sopraggiungere di richieste diversificate, nel quadro
già incerto delle possibili sistemazioni interne alla Penisola,
modificava i termini del problema stesso nella sua complessità. Si
aggiungeva anche la richiesta elvetica a pretendere una annessione
alla Confederazione svizzera della Savoia come preferibile a quella
alla Francia. L'arrendevolezza austriaca, inoltre, poggiava totalmente
sul timore i un nuovo conflitto con la Francia, alleata del Piemonte,
ma la protezione di questa risultava, ora più che mai, in funzione
dell'attesa cessione di Nizza e Savoia a Parigi. Per cui giustamente
osservava Cavour che ormai "il principale nodo della questione" non
consisteva nella Romagna e nella Toscana, "ma bensì nella Savoia", e
che occorreva, quindi, trovare una via d'uscita. Gli errori del
Ministero Rattazzi, che allo scopo aveva elaborato un chiaro piano
strategico, ne complicava i termini: non era più possibile
tergiversare e posporre il problema sabaudo e quello dell'Italia
centrale, ma occorreva superare subito la pericolosa fase di stallo, e
tenere conto dell'intuibile esigenza di Napoleone III di ottenere i
detti territori. Gli inglesi erano furibondi e la regina Vittoria si
mostrava ostile ad una pretesa espoliazione francese ai danni del
Piemonte. La "great majority" dei suoi amici e concittadini, scriveva
Lord Shaftesbury a Cavour, era contraria a tale cessione. Napoleone
III, interpellato direttamente da Londra, disse che se da un lato
trovava perfettamente comprensibile che il Piemonte incorporasse
l'Italia centrale, dall'altro diceva chiaramente che sul versante
orientale della frontiera francese Parigi desiderava essere più
protetta grazie all'annessione delle due province piemontesi. Una
misura di legittima difesa, dunque, quella che invocava la Francia.
l'ambasciatore inglese a Parigi significò che non era stata tanto
l'annessione in sé della Savoia (e di Nizza) a suscitare l'allarme
inglese, quanto il fatto che tale annessione contrastava con le
precedenti dichiarazioni imperiali. La giustificazione del ritocco
delle frontiere rendeva possibile uno spostamento dei confini francesi
in direzione del Reno. Circostanza che preoccupava chi aveva a cuore
la stabilità degli equilibri in Europa. La Russia, dal canto suo,
mostrava uno smisurato interesse per le sorti temporali del Papato e
sosteneva in un certo qual modo le richieste di annessione da parte
della Francia. Il discorso ci porterebbe lontano, ma quanto esposto
parrebbe sufficiente a far luce, almeno in parte, su una vicenda
rilevante della storia nazionale italiana.
Casalino Pierluigi, 11.10.2015
Napoleone III e di Lord Cowley, confermata da alcune dichiarazioni del
governo britannico, subì un'improvvisa battuta d'arresto ed
un'imprevista inversione di tendenza non appena cominciò a prendere
corpo un sospetto, sino ad allora sottovalutato, che l'intervento
francese a sostegno della causa italiana fosse accompagnato dalla
pretesa di annessioni territoriali. In effetti, peraltro, i motivi
perché la voce assumesse consistenza non mancavano. Napoleone III
aveva espresso con chiarezza tale sua intenzione al Desambrois,
mettendo il Piemonte nell'imbarazzante alternativa di perdere due
province o il prezioso aiuto francese. L'ambasciatore prussiano a
Parigi, appena appresa la notizia, consigliava il suo governo di
manifestare contrarietà all'annessione della Savoia in quanto tale
atto avrebbe consentito un avanzamento territoriale pericoloso della
frontiera francese. Il rappresentante prussiano non mancò di fare
analoghi passi presso i suoi colleghi diplomatici nella capitale
francese, per coinvolgerli in tale mossa. D'altra parte
l'atteggiamento di Cavour, da poco tornato alla guida del governo
sabaudo, non era, al riguardo, perfettamente chiaro o definito. Da un
lato, egli rimproverava al Desambrois di usare troppo zelo nel
difendere le province; dall'altro, sembrava piuttosto confidare
nell'assenza d'uno specifico impegno ufficiale del governo piemontese,
come pure nei sentimenti filoitaliani dei savoiardi, che avrebbero
dovuto in ogni caso espressi in sede di plebiscito. Cavour si
adoperava infatti ad utilizzare lo stretto margine di cui disponeva,
nel tentativo di "salvare" le province, senza pregiudicare
l'irrinunciabile alleanza con la Francia. Le reazioni inglesi, ed in
primo luogo il discorso dalla regina Vittoria e la replica di
Palmerston ad una specifica interpellanza del Disraeli, contribuirono
ulteriormente "à precipiter lews évenement en Italie" (vedi anche
Ardemagni, L'opposizione inglese alla cessione di Nizza e Savoia" e
altri studi, oltre che Salvatorelli, Poteva Nizza nel 1860 essere
conservata all'Italia?" in Prima e dopo il '48, Torino, 1948). Si può
dire che l'allargarsi dell'interessamento europeo alla questione
italiana, per il sopraggiungere di richieste diversificate, nel quadro
già incerto delle possibili sistemazioni interne alla Penisola,
modificava i termini del problema stesso nella sua complessità. Si
aggiungeva anche la richiesta elvetica a pretendere una annessione
alla Confederazione svizzera della Savoia come preferibile a quella
alla Francia. L'arrendevolezza austriaca, inoltre, poggiava totalmente
sul timore i un nuovo conflitto con la Francia, alleata del Piemonte,
ma la protezione di questa risultava, ora più che mai, in funzione
dell'attesa cessione di Nizza e Savoia a Parigi. Per cui giustamente
osservava Cavour che ormai "il principale nodo della questione" non
consisteva nella Romagna e nella Toscana, "ma bensì nella Savoia", e
che occorreva, quindi, trovare una via d'uscita. Gli errori del
Ministero Rattazzi, che allo scopo aveva elaborato un chiaro piano
strategico, ne complicava i termini: non era più possibile
tergiversare e posporre il problema sabaudo e quello dell'Italia
centrale, ma occorreva superare subito la pericolosa fase di stallo, e
tenere conto dell'intuibile esigenza di Napoleone III di ottenere i
detti territori. Gli inglesi erano furibondi e la regina Vittoria si
mostrava ostile ad una pretesa espoliazione francese ai danni del
Piemonte. La "great majority" dei suoi amici e concittadini, scriveva
Lord Shaftesbury a Cavour, era contraria a tale cessione. Napoleone
III, interpellato direttamente da Londra, disse che se da un lato
trovava perfettamente comprensibile che il Piemonte incorporasse
l'Italia centrale, dall'altro diceva chiaramente che sul versante
orientale della frontiera francese Parigi desiderava essere più
protetta grazie all'annessione delle due province piemontesi. Una
misura di legittima difesa, dunque, quella che invocava la Francia.
l'ambasciatore inglese a Parigi significò che non era stata tanto
l'annessione in sé della Savoia (e di Nizza) a suscitare l'allarme
inglese, quanto il fatto che tale annessione contrastava con le
precedenti dichiarazioni imperiali. La giustificazione del ritocco
delle frontiere rendeva possibile uno spostamento dei confini francesi
in direzione del Reno. Circostanza che preoccupava chi aveva a cuore
la stabilità degli equilibri in Europa. La Russia, dal canto suo,
mostrava uno smisurato interesse per le sorti temporali del Papato e
sosteneva in un certo qual modo le richieste di annessione da parte
della Francia. Il discorso ci porterebbe lontano, ma quanto esposto
parrebbe sufficiente a far luce, almeno in parte, su una vicenda
rilevante della storia nazionale italiana.
Casalino Pierluigi, 11.10.2015