Matteo Renzi, Hi Tech politik ma gaffe su Grillo: gli italiani vogliono il Napolitano impeachment

 

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"Contro la palude M5s, bisogna accelerare sulle riforme". Monito al Pd: "Serrare i ranghi"


Se n’è tornato a Firenze in mattinata lasciando al Nazareno la parola d’ordine a questo punto ‘magica’ o sperando che risulti magica: “Accelerare”. Perché dopo aver “rotto l’incantesimo” sulle riforme, Matteo Renzi non vuole assolutamente moderare la velocità, a maggior ragione di fronte al caos scatenato dai cinque stelle in Parlamento , nuova minaccia all'iter del suo Italicum. A questo punto, per il segretario del Pd è ancor più importante e urgente che la legge elettorale, approdata oggi in aula, arrivi al più presto a destinazione, conquisti l’ok della Camera per approdare in Senato e lì corra spedita verso l'approvazione definitiva. E’ l’unico modo per “prosciugare la palude grillina”, dice il leader Dem ai suoi. Una situazione da “emergenza democratica”, dicono i fedelissimi del sindaco, il quale è preoccupato dall'incandescenza grillina che rischia di avere presa sulla rete e sulla società reale, data la crisi economica e delle istituzioni. Ecco perché bisogna “serrare i ranghi”. E questo lo dice al Pd, a quella minoranza pronta a presentare emendamenti, alla vigilia dei primi voti in aula sulle pregiudiziali di costituzionalità della nuova legge elettorale, frutto dell’accordo con Silvio Berlusconi.

Alla Camera in effetti non si parla d’altro. Gli spintoni e le urla in aula e nelle commissioni, il caos ad orologeria prodotto dai cinque stelle, il Parlamento trasformato di fatto in ring ha mietuto vittime di vario tipo nel Pd. Roba da ‘si salvi chi può’ e con il fisico che si ritrova. La renziana Maria Elena Boschi è stata insultata con le altre donne Dem con “epiteti a dir poco grevi”, racconta lei in Transatlantico. Illettiano Francesco Sanna dice di essere stato “sequestrato insieme a Gianni Cuperloper almeno 40 minuti in commissione Affari Costituzionali da grillini evidentemente intenzionati a fare una sorta di ‘processo del popolo’”. Il bersaniano Nico Stumpo, fisico forte, per uscire dalla stessa commissione ha scelto invece di sfondare “pacificamente” il cordone umano dei cinque stelle piazzato davanti alla porta. “Sono un uomo libero, non mi possono impedire di uscire – racconta - e per uscire… ho camminato”. E via testa d’ariete contro il muro M5s. L’allarme è suonato. “Siamo di fronte ad una preoccupante escalation – dice trafelato il renziano Dario Nardella – hanno bisogno di visibilità e la cercano occupando le commissioni, inscenando proteste oltre ogni limite democratico, mi chiedo cosa si inventeranno ancora. Come chi per farsi sentire si mette a urlare che l’arbitro ruba… Sono in affanno, il processo riformatore li ha messi nell’ombra e reagiscono così…”.

Il migliore antidoto è “non mollare”. Renzi ne è convinto. “Le riforme sgonfiano i grillini che sono a corto di argomenti”, segnala la Boschi. E a questo punto è ancor più necessario che il Pd sia compatto nel corso dell’iter dell’Italicum in Parlamento. Nessuna volontà di soffocare il dibattito, chiarisce Renzi con i suoi, “ma non possiamo permetterci di perdere tempo”. Perché è chiaro al segretario che, più tempo passa, più aumenta il rischio di imboscate e colpi bassi. Già domattina le pregiudiziali di costituzionalità presentate da M5s, Sel e i centristi verranno votate con voto segreto. Dalla minoranza Pd promettono che non faranno sgambetti. Insomma, non dovrebbero esserci franchi tiratori. Però nell’opposizione interna restano i dubbi sulla costituzionalità di alcune norme contenute nell’accordo siglato con Berlusconi. Per esempio, su quel ‘salva Lega’ che permette ad una forza politica che raggiunga il 9 per cento in tre regioni di entrare in Parlamento, mentre chi sta sotto all’8 per cento a livello nazionale resterebbe fuori. Dubbi che però non si traducono in volontà di impallinare la legge, non da domani almeno. A parte singoli casi, ma dichiarati.

Tra i bersaniani per esempio si agita la calabrese Enza Bruno Bossio che su twitter annuncia: “Oggi stiamo approvando la #leggeelettorale che #Berlusconi vuole da sempre. Io non la voto”. Segue battibecco con la neo renziana Simona Malpezzi: “Dopo Prodi altri 101”. Botta, con risposta di Bruno Bossio: “Forse tu sei tra i 101, io voto per come dichiaro. Non sarò mai un franco tiratore e nemmeno un cortigiano”. La temperatura è alle stelle, ma il caos grillino riduce ancor di più i margini di manovra della minoranza Pd. “Ho detto a Renzi che la legge è vomitevole. Ma voterò come ha deciso la direzione del mio partito”, promette Pippo Civati, che sul resto della minoranza ironizza: “Non mi occupo di 101…”.

Sulle pregiudiziali di costituzionalità i renziani sentono di avere dalla loro parte il Quirinale, con cui i contatti sono ormai frequenti, clima cambiato, passato alla storia il gelo che allontanava Renzi e Giorgio Napolitano prima di Natale. Se il voto segreto di domattina filerà liscio (proteste a cinque stelle permettendo), l’attenzione si sposterà sulle prossime forche caudine. Cioè il voto sugli emendamenti che inizierà la prossima settimana o quella seguente, in quanto in calendario oltre alla legge elettorale ci sono il dl carceri nonché il ‘destinazione Italia’ sugli Rc auto ed entrambi non si annunciano come una passeggiata. Ad ogni modo, l’intento del segretario del Pd è di approvare l’Italicum alla Camera entro la metà di febbraio, quando conta di presentare anche la riforma costituzionale di abolizione del Senato sulla quale pianifica di mettersi al lavoro da subito, apparecchiando il tavolo delle trattative con Berlusconi. “Il mio è un percorso pulito che non lascia dubbi: non porta al voto anticipato”, ripete Renzi con i suoi. Per questo, a maggior ragione, avanti spediti.

Intanto domani gli tocca una giornata fiorentina. Da sindaco, sì. Ma con incontri istituzionali di alto livello. Quasi da premier. Il programma prevede una colazione con il presidente della Repubblica turca Abdullah Gul, in visita in Italia. E poi la cerimonia a Palazzo Vecchio con il cardinale Giuseppe Betori, che consegnerà all’amministrazione comunale il messaggio di Papa Francesco in occasione della ‘Giornata della pace’. E quest’ultimo è appuntamento importante che mette fine ai dissapori del passato tra il sindaco e la curia fiorentina.

BEPPE GRILLO BLOG  *VIDEO   IMPEACHMENT NAPOLITANO

Questa mattina, 30 gennaio 2014, il MoVimento 5 Stelle ha presentato la:
DENUNCIA PER LA MESSA IN STATO D'ACCUSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, CONCERNENTE IL REATO DI ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA

Il Presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano, nell'esercizio delle sue funzioni, ha violato - sotto il profilo oggettivo e soggettivo, e con modalità formali ed informali - i valori, i principi e le supreme norme della Costituzione repubblicana. Il compimento e l'omissione di atti e di fatti idonei ad impedire e a turbare l'attività degli organi costituzionali, imputabili ed ascrivibili all'operato del Presidente della Repubblica in carica, ha determinato una modifica sostanziale della forma di stato e di governo della Repubblica italiana, delineata nella Carta costituzionale vigente. Si rilevano segnatamente, a seguire, i principali atti e fatti volti a configurare il reato di attentato alla Costituzione, di cui all'articolo 90 Cost.

1. Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d'urgenza

La nostra Carta costituzionale disegna una forma di governo parlamentare che si sostanzia in un saldo rapporto tra Camere rappresentative e Governo. La prevaricazione governativa assoluta, caratterizzata da decretazione d'urgenza, fiducie parlamentari e maxiememendamenti configura, piuttosto, un ordinamento altro e diverso che non conosce più il principio supremo della separazione dei poteri. Il predominio legislativo da parte del Governo, attraverso decreti legge, promulgati dal Presidente della Repubblica, viola palesemente sia gli articoli 70 e 77 della Costituzione, sia le norme di primaria rilevanza ordinamentale (quale la Legge n. 400 del 1988), sia numerose sentenze della Corte costituzionale (tra tutte: sentenza n. 29 del 1995, n. 22 del 2012 e n. 220 del 2013). Ma al di là del pur impressionante aspetto quantitativo che, comunque, sotto il profilo del rapporto costituzionale tra Parlamento e Governo assume fortissima rilevanza, è necessario rimarcare, parallelamente, una preoccupante espansione della loro portata, insita nei contenuti normativi e, soprattutto, nella loro eterogeneità. 
Aspetto ulteriormente grave è la reiterazione, attraverso decreto- legge, di norme contenute in altro decreto-legge, non convertito in legge. La promulgazione, da parte del Presidente della Repubblica, di simili provvedimenti è risultata in palese contrasto con la nota sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1996, che ha rilevato come «il decreto- legge reiterato - per il fatto di riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni), il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali - lede la previsione costituzionale sotto più profili». 
La forma di governo parlamentare, alla luce dell'attività normativa del Governo, pienamente avallata dalla connessa promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, si è sostanzialmente trasformata in «presidenziale» o «direttoriale», in cui il ruolo costituzionale del Parlamento è annientato in nome dell'attività normativa derivante dal combinato Governo-Presidenza della Repubblica.

2. Riforma della Costituzione e del sistema elettorale
Il Presidente della Repubblica ha formalmente e informalmente incalzato e sollecitato il Parlamento all'approvazione di un disegno di legge costituzionale volto a configurare una procedura straordinaria e derogatoria del Testo fondamentale, sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello degli organi deputati a modificare la Costituzione repubblicana. 
In particolare, il disegno di legge costituzionale governativo presentato alle Camere il 10 giugno 2013, sulla base dell'autorizzazione da parte del Capo dello Stato, istituiva una procedura di revisione costituzionale in esplicita antitesi sia rispetto all'art. 138 Cost., sia rispetto all'art. 72, quarto comma, della Costituzione che dispone: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale». 
Il Capo dello Stato ha, dunque, promosso l'approvazione di una legge costituzionale derogatoria, tra le altre, della norma di chiusura della Costituzione - ovvero l'art. 138 Cost. - minando uno dei principi cardine del nostro ordinamento costituzionale: la sua rigidità. Egli ha tentato di trasformare la nostra Carta in una Costituzione di tipo flessibile. Flessibilità che, transitivamente, si sarebbe potuta ritenere espandibile, direttamente ed indirettamente, alla Prima Parte della Costituzione repubblicana, in cui sono sanciti i principi fondamentali della convivenza civile del nostro ordinamento democratico. 
Il Presidente della Repubblica ha, inoltre, in data 24 ottobre 2013, nel corso dell'esame parlamentare riferito alla riforma della legge elettorale, impropriamente convocato alcuni soggetti, umiliando istituzionalmente il luogo naturalmente deputato alla formazione delle leggi. Si tratta, segnatamente, del Ministro per le Riforme Costituzionali, del Ministro per i Rapporti con il Parlamento e Coordinamento delle Attività di Governo, dei Presidenti dei Gruppi Parlamentari "Partito Democratico", "Popolo della Libertà" e "Scelta Civica per l'Italia" del Senato della Repubblica, e del Presidente della Commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato.... CONTINUA

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