Luuk Magazine/Milano intervista a Vitaldo Conte * by L. Siniscalco

Il confronto con l’arte contemporanea non può prescindere da un’analisi serrata e consapevole degli scenari spalancatisi nel panorama esistenziale in cui siamo calati in quanto uomini del nuovo millennio. Un millennium quanto mai contraddittorio quello in cui ci troviamo destinalmente a soggiornare, stretti fra le Scilla e Cariddi della postmodernità: l’attivismo superficiale e futile ed il ripiegamento intimista ed autodistruttivo. Per navigare con maggior cognizione di causa fra i flutti del nostro tempo abbiamo deciso di instaurare un proficuo dialogo con una figura prestigiosa dell’arte italiana, intenzionata ad aprire prospettive adeguate all’interpretazione della modernità ed al ruolo dell’arte nella permanenza nel nostro tempo. Vitaldo Conte, docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti, critico e curatore d’arte, scrittore e artista-performer, si rivela un intellettuale integrale intenzionato a lasciare il segno. Un segno simbolico, mistico ed archetipico. Autenticamente artistico dunque.

1) Com’è sorta la sua passione per l’arte?

Sono nato nell’arte, essendo figlio di uno scultore classico (Pino Conte) e nipote di un musicista. La mia infanzia è stata scandita dalla conoscenza di artisti, anche di quelli che appartengono oggi alla storia dell’arte. Avendo “ricevuto” una educazione cattolica anche i miei padrini di battesimo e cresima (il pittore Remo Brindisi) sono stati artisti. Ho amato artiste e scrittrici che sono state e sono ispirazione per la mia sconfinante creazione. Senza arte non potrei vivere, perché l’arte è per me desiderio, mistica e dannazione.... C

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