EB DI TERZET
PENSANDO L’ARTEPOESIA*
Noi possediamo una corporeità, quello che chiamiamo comunemente corpo. Questa corporeità è la parte che muore, che seppelliamo o bruciamo e che ricordiamo come “il defunto”. In vero questa corporeità, una volta morta, non è più niente se non ossa.
La nostra sostanzialità consiste invece nel corpo solido vivente, quello che ci fa essere quello che siamo veramente. Questo corpo solido vivente è un corpo interiore che è la sintesi del nostro Io e del Permanente. Se vogliamo, possiamo dire che è il nostro Io e la Coscienza sintetizzati: questa parte è la parte immortale dell’uomo che, morta la corporeità, continua a vivere, ad essere energia e a prolungare eternamente la propria vocazione, la ragione per cui è venuto su questa terra nostra.
Il Permanente (parte divina) è ciò che suggerisce all’Io il da farsi, il senso della propria identità della nostra vocazione in terra, del significato della vita e dell’operare ed agire verso noi stessi e gli altri. Se l’Io (parte umana) lo desidera, se vuole seguire la voce la parola della parte divina.
Gli artisti sono i primi a sapere e capire che siamo costituiti in tale modo e sanno che la loro opera d’arte è in parte dovuta ad essi, in parte dovuta al divino in loro parlante. Come la voce del dolore che trasforma la vita in Ungaretti e il fanciullino di Pascoli.
La libertà dell’uomo consiste nel far prevalere la parte umana oppure di renderla aperta alla parte divina. Coloro che la aprono completamente, noi li chiamiamo santi, perché vivono come esempio del divino, come dovrebbero vivere tutti gli esseri umani. Coloro che chiudono alla parte divina rimangono “animali” nella scala evolutiva verso il completamento divino come era in principio, prima della storia. Eravamo divini, immortali e ne portiamo il ricordo e la memoria, senza sapere che cosa sia successo perché siamo pervenuti a questa situazione di morte. Ma sappiamo, molti non tutti, che dobbiamo risalire con fatica materiale e spirituale verso quello stato iniziale che ci è proprio. Gli artisti questo lo hanno capito come i santi e coloro che hanno avuto fiducia nella parola del corpo solido vivente.
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*questo mio sintagma discende da Stevens che per primo teorizzò l’equivalenza tra pittura e poesia. Qui diventa occasione meditativa per consolidare il pensare trasformativo.
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