NEL NOME DELLE MACCHINE...

Casalino Pierluigi

Nella Repubblica Platone elogia la divisione del lavoro, le Macchine nella modernità..., esaltando la possibilità di sfruttare al meglio in un gioco di squadra le capacità e le potenzialità individuali. Potenzialità che dovrebbero assegnare a ciascuno, nell'ambito delle singole inclinazioni naturali, "una cosa sola" per la miglior riuscita collettiva. Si tratta tuttavia di una formulazione ambigua, quella del filosofo greco, perché occorre veramente capire cosa significhi "la cosa sola" che ciascuno deve fare: per Platone tale "cosa sola" sarebbe un mestiere dotato  di una specifica e complessa struttura (il sarto, il calzolaio, l'agricoltore, altro ancora).
Quando lo stesso argomento riaffiora più tardi con Adam Smith la "cosa sola" è diventata un assai ridotto frammento di attività che favorisce la crescita della produzione: con un lavoro così "parcellizzato" la produzione aumenta dunque a dismisura. Le proposizioni di Smith furono pubblicate nel 1776 (la data dell'indipendenza americana, per strana coincidenza) e un secolo dopo si erano evolute, secondo la visione di F.W.Taylor e nell'applicazione del taylorismo da parte di Henry Ford, con la nascita della prima catena di montaggio. Ai giorni nostri questo disumano sistema di produzione, visto con l'amarezza di Chaplin nel celebre film Tempi Moderni, sembrerebbe dominare cinicamente solo nella Cina postmaoista, dove l'intesa tra capitalismo e tirannia sottopone milioni di persone ad un ritmo di lavoro di assurda follia. In Occidente, invece, gli operai sono una specie in via di estinzione e l'economia ha lasciato quasi completamente la manifattura per trasformarsi in servizi. pertanto il problema in apparenza, come si dice, non si pone. Anche se, spiega Simon Head, la circostanza non esiste perché fra i servizi rientrano i commerci al dettaglio e qui ci sono aziende di proporzioni mostruose, che pervengono al controllo dei loro dipendenti. Tali aziende hanno fatto uso, infatti, uso dei computer al punto da entrare direttamente nella vita lavorativa di chi presta servizio al punto da suscitare invidia al modello tayloriano originale. Va detto, ad onor del vero, per concludere, che Henry Ford capiva che, per quanto incapaci, doveva pagare bene gli operai, destinati ad essere il mercato di ciò che producevano. I moderni magnati non hanno la stessa mentalità di Ford e non di rado emergono chiare le distorsioni di una simile piega degli avvenimenti industriali al punto che nessuno avrà più i denari per acquistare ciò che è stato prodotto.
 1.11.2016