Ibridi
In copertina scultura di Niccolò dell’Arca, Compianto, terracotta, 1463-1490, chiesa di S.ta Maria della Vita (BO)
Este Edition, Ferrara 2012, pp. 48, € 8,00
Con quest’opera dal titolo apparentemente strano, e soprattutto proprio in forza del titolo, Ibridi, Claudio Quinzani, vuole suggellare il contrasto dei tre sintetici elaborati che costituiscono il tutto.
Si tratta infatti di due iniziali e, tra sé, ossimoriche strutture poematiche (Una morte assegnata e Una morte inattesa), che risultano comunque avere un dato d’incontrovertibile compatibilità, rendendosi in definitiva alquanto omogenee. Non foss’altro che per la distinta teoretica vertente sulla morte. Componimenti che hanno avuto distinte fasi ispiratrici, ideati a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, in base all’ordine inverso in cui sono impaginati.
Ad integrazione di questi due opposti poemetti (rispettivamente di 13 e 14 pagine) è stato inserito un copione per un ipotetico film, a ripercorrere praticamente la trama del poemetto di più recente concepimento: Una morte assegnata. Progetto il cui soggetto cinematografico è, tra l’altro, stato scritto a quattro mani, da Quinzani e Giancarlo Nicoli, e che, per esplicita ammissione del Quinzani, per divergenti punti di vista tra i due autori, ne è stata (lo è tuttora) congelata la messa in opera.
A proposito del film, voglio liquidare subito l’analisi asserendo che, dalla lettura del copione, emergerebbe una realizzazione assolutamente originale. Interessantissima specialmente per l’elevata metafora. Pregio e difetto al tempo stesso, non escludendo che possa risultare, una volta messo in pellicola un tale soggetto cinematografico, di difficile comprensione per il più generico fruitore d’un film. Ed in ciò posso pensare d’intuire le incompatibilità d’intenti tra il Quinzani ed il Nicoli ai fini della fattività. Indubbiamente è una scrittura adattissima, anzi direi congeniale, per il teatro, per il quale Quinzani sarebbe intuitivamente portato, ma che reputerei di scarso potenziale cinefilo. Facendola breve, e senza farci su tanti fronzoli, non sarebbe un granché come pezzo da cineasta. Da altra angolatura, ripeto, la troverei, invece, alquanto entusiasmante come pièce teatrale.
Circa i due poemetti occorre dire che il primo, stando alla collocazione nel libro, Una morte assegnata, ha per protagonista Cristo, nel terminale tratto che lo vede patire l’evangelico Calvario. Dove la Sua figura si confonde tra la trascurata, transeunte fisiologia dei comuni uomini mortali, da una parte, e la sacrale spiritualità dell’autentico, unto Figlio di Dio, dall’altra.
L’altro, di contro, Una morte inattesa, che – mi piace farne un richiamo – è stato pensato per primo, nella tragicità dell’adolescenziale suicidio dell’interprete, richiama – almeno secondo la poiesi del nostro autore – quel gorgo filosofico dei perché sull’esistenza.
Ed allora se da un lato, considerandone l’aprioristico approccio interpretativo derivante dai due titoli (morte "assegnata-inattesa"), se ne evidenzia d’acchito l’antitesi, d’altra spigolatura se ne evince all’opposto una più analitica compenetrazione teoretica, estensiva d’un esaustivo concetto teologico-teleologico.
Sono due esemplari ideazioni di raffinata poesia, coltivate in un’estetica certamente da elogiare. Solo di rado la scrittura si rende involuta e banale, smentendo peraltro le premesse (cfr. p. 6, C’è qualcuno?) che sia stato adottato «un linguaggio semplice, quotidiano, volutamente fanciullesco».
Ultima nota. La riproduzione di copertina, parlo della terracotta di Niccolò dell’Arca (Compianto), è d’un’eloquente, visiva puntualità rispetto alle tematiche della pubblicazione. Valeva davvero la pena che fosse valorizzata, rispolverandola dalla sua medioevale genesi, ponendola in bella vista, nella copertina. Il libro stesso ne trae vantaggio.
Emilio Diedo
emiliodiedo@libero.it