Wittgenstein e la Parola libera rivoluzionaria


 
È il ritratto di Ludwig Wittgenstein che rimbalza nelle sue Lettere, 1911-1951, ora pubblicate da Adelphi (pagg. 601, euro 48). Con molto materiale inedito, tra cui i verbali degli incontri del Moral Sciences Club di Cambridge a cui il filosofo austriaco partecipò, spesso in lite con le tesi esposte dal conferenziere di turno.Basti il suo racconto all'allievo Rush Rees della serata tenuta da Karl Popper nell'ottobre del 1946: «Una riunione orrenda, in cui un cretino, il dottor Popper di Londra, ha blaterato una stupidaggine dopo l'altra come da tempo non ne sentivo». Ma in Wittgenstein lo sberleffo non è posa, è l'uomo ad essere sulfureo prima del filosofo, e non è un caso che la raccolta si apra con una lettera all'amico e mentore Bertrand Russell in cui, ventitreenne, demolisce così la filosofia di George Edward Moore: «Quello che dice in tre pagine potrebbe benissimo stare in mezza paginetta. Le enunciazioni oscure non diventano più chiare per il solo fatto di essere ripetute!». Un giovane sconosciuto che maltratta uno dei due numi tutelari del pensiero britannico, scrivendo all'altro. Ma nel 1913 ce n'è direttamente anche per Russell, che aveva confessato di sentirsi «paralizzato» dalle obiezioni dell'enfant prodige alla sua teoria logica e aveva amichevolmente chiesto chiarimenti: «Una spiegazione delle indefinibili generali? Oh santo cielo! È di una noia tale!! Qualche altra volta! Sul serio, gliene scriverò una volta o l'altra, prometto, se per allora non avrà già capito tutto».Il fatto, è che i suoi interlocutori riconoscevano a Wittgenstein la legittimità della stroncatura e fin dell'offesa, perché avevano scorto in lui il genio in grado di rovesciare la logica novecentesca. Ma, pur portatissimo, lui fu da subito insoddisfatto, compresso negli steccati astratti della materia, di cui cercava disperatamente il nesso con il mondo della vita, con le sue giornate e i suoi sbalzi d'umore, come infine espresse a Russell: «Come posso essere un logico, se ancora non sono un uomo! Devo chiarirmi le idee, per prima cosa!». Allora, si gettò nel calderone della Grande Guerra, tra lo sconcerto degli amici intellettuali. Ma, come scrisse nel 1915 a John Maynard Keynes, «si sbaglia di grosso se pensa che essere un soldato mi impedisca di pensare alle proposizioni». Non solo continuò a pensarci ma, nel campo di prigionia italiano di Cassino portò a termine il Tractatus logico-philosophicus, che inviò a Russell e a Frege (anche se quest'ultimo «non ne capisce una parola»). ... C
 
Il Giornale
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