La storia critica e non ideologica di Melograni


 
----Esemplare, perché ha sommato nella sua attività di studioso, così come nella sua biografia, le qualità e le caratteristiche che si dovrebbero richiedere a chi si applica a un'attività così professionalmente esposta alle tentazioni provenienti dall'engagement politico e al tempo stesso così parimenti importante sul piano civico.Unico, perché purtroppo è alquanto raro nel panorama intellettuale italiano di questo secondo dopoguerra trovare personalità di questo tipo.Non si vuole affermare con questo che Melograni fosse uno storico per così dire paludato, illuso di passare indisturbato attraverso le passioni del proprio tempo. Anzi, fin dall'adolescenza coltivò un impegno civile ed anche politico assai intenso, partecipando e mescolandosi attivamente alle vicende del proprio Paese. Come tutti i ragazzi della sua generazione (era della classe 1930) era stato educato, ossia indottrinato e irreggimentato, a pensare fascisticamente.
Era stato «figlio della lupa» così come «balilla». Ebbe il tempo, però, e soprattutto l'intelligenza critica e la tempra morale per maturare presto una scelta antifascista. In una lunga conversazione avuta anni fa con lui, riconobbe la sincerità ed insieme l'ingenuità della sua originaria identificazione con il fascismo. Ricordò come lui bambino (siamo nel 1938) ebbe ad assistere ammirato al rientro a Roma da Monaco di Mussolini, circondato da un tripudio di folla che lo acclamava come il salvatore della pace. Questo per dire che i regimi totalitari hanno armi quasi invincibili per stringere a sé il proprio Paese.Ancora adolescente partecipò ad un'azione resistenziale, un semplice volantinaggio a Roma in piazza Colonna, sufficiente comunque per fargli rischiare la galera. Finita la guerra, non per questo chiuse con la politica. Aderì, anzi, a un partito come il Pci che pretendeva un'identificazione e una dedizione senza riserve.
Ci volle lo shock nel 1956 del rapporto Krusciov al XX congresso del Pcus e della rivolta d'Ungheria per rompere l'incantesimo del partito «intellettuale collettivo» che chiedeva appunto agli intellettuali di negarsi come tali per affidare al partito la funzione loro propria. Da quel momento cessò la sua militanza politica. Non finì, invece, il suo impegno civile e civico che coltivò, d'allora in poi, attraverso lo studio e la ricerca. Non è un caso che come storico si sia applicato in modo privilegiato al fascismo a al comunismo. ... C
 
Il Giornale
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