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𝗚𝗘𝗢𝗥𝗚𝗘𝗦 𝗦𝗘𝗨𝗥𝗔𝗧, 𝗜𝗟 𝗣𝗜𝗧𝗧𝗢𝗥𝗘 𝗖𝗛𝗘 𝗜𝗡𝗩𝗘𝗡𝗧𝗔 𝗜 𝗣𝗜𝗫𝗘𝗟
C’è chi vede il mondo a colori, chi in bianco e nero, e poi c’è Georges Seurat, che lo vedeva… a puntini. Nato nel 1859 a Parigi, Seurat non è solo uno dei grandi nomi dell’Impressionismo (o, se volete, del post-Impressionismo), ma anche uno dei pittori più pazienti della storia dell’arte: voi vi mettereste a dipingere quadri interi un puntino alla volta? Non a caso, Seurat è considerato il padre del puntinismo, tecnica che – detta terra terra – consiste nel creare immagini usando minuscoli tocchi di colore puro, posizionati uno accanto all’altro con una precisione da orologiaio.
Ma andiamo con ordine.
Seurat, giovane studente d’arte, non manifesta da subito la sua intenzione di applicare un rigore quasi “matematico” alla pittura. Ama l’arte classica e in particolare Ingres, di cui apprezza il tratto pulito e le figure plastiche.
Due sono i momenti di svolta di Georges. Il primo è quando inizia a studiare la teoria del colore e la percezione visiva, leggendo libri che farebbero venire il mal di testa anche a un fisico, come quelli di Michel Eugène Chevreul. Il secondo nel 1878, quando scopre l’Impressionismo e l’istruzione accademica gli sta all’improvviso stretta.
L’idea di Seurat è semplice, per lui almeno: i colori puri, se posizionati vicini, si mescolano nella retina dello spettatore. Non si deve fare altro che accostare puntini colorati, meglio se tantissimi, e l’occhio farà la sua parte, creando l’immagine. Una vera gioia per i daltonici, se avete presente le figure che si usano al test per rinnovare la patente.
Il suo lavoro più celebre, “Una domenica pomeriggio alla Grande Jatte”, è la dimostrazione perfetta di questa visione. Una scena idilliaca sulle rive della Senna, piena di dame eleganti, ombrellini e signori con cilindro. A prima vista sembra tutto normale, ma avvicinandosi – o ingrandendo – ci troveremmo di fronte a una sorpresa piuttosto moderna.
È tutto fatto di minuscoli punti di colore. Come un puzzle visivo, il quadro si compone solo guardandolo a distanza. Oggi diremmo che Seurat ha “pixellato” la realtà, anticipando di oltre un secolo l’idea dei pixel nelle fotografie digitali.
E come sa ogni persona che ha provato a scattare una foto della Luna con un cellulare, più l’immagine viene ingrandita e più i pixel saltano – è il caso di dirlo – all’occhio.
Pensateci: il monitor su cui state leggendo queste povere righe funziona esattamente come un quadro di Seurat. Piccoli quadratini di colore - i pixel - che si uniscono per formare un’immagine completa. Lui lo faceva con pennello e olio su tela, noi troviamo il tutto bell’e fatto dalla tecnologia, ma il principio è lo stesso. In un certo senso, Seurat è stato un programmatore ante litteram, il primo a “codificare” la realtà in unità elementari di colore.
Eppure, i suoi dipinti, pur nella loro perfezione geometrica, trasmettono un’idea di serenità sospesa nel tempo, come se ogni puntino fosse un granello di eternità. Azz, come parlo bene!
Questo approccio rigoroso, però, non sempre gli porta popolarità. Gli Impressionisti stessi, noti per la loro rottura con la tradizione, lo trovano un po’ troppo cervellotico. Del resto, non accade sempre così coi rivoluzionari? L’unica rivoluzione buona è la loro, e ci vuole poco a diventare tradizionalisti di un nuovo canone.
Ma poco importa: Seurat continua per la sua strada, producendo opere che ancora oggi incantano per il loro frullato di tecnica, eleganza e lirismo.
Purtroppo, la vita di Seurat è breve. Muore nel 1891, a soli 31 anni, lasciando un’eredità artistica che avrebbe influenzato generazioni di pittori, da Paul Signac a Piet Mondrian. La sua ossessione per la precisione e il colore ha gettato le basi per l’arte moderna e per un modo nuovo di vedere la realtà, una rivoluzione che abbiamo sotto gli occhi costantemente.  Asino Rosso
 

 

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