Lettera sulle profezie ovvero una lettura antropologica dell'Islam medievale.



Da: Pierluigi Casalino 
"Lettera sulle profezie", testo generalmente, ma non unanimemente, attribuito ad Ibn Sina (l'Avicenna dei Latini), se pur certamente di scuola avicenniana, va oltre i contenuti specifici dell'argomento trattato nell'opera stessa per indirizzarsi verso più ampi approdi di riflessione filosofica ed antropologica. Nel riprendere considerazioni tra la metafisica e l'esegetica, l'Autore si  sofferma sull'esistenza della profezia, distinguendone in particolare l'attendibilità e la veridicità rispetto alla falsità delle favole. Da una parte la profezia riceve una necessaria formazione noetica e metafisica e dall'altra assume un carattere di natura esegetica, pur convenendo che i due aspetti convergono per l'evoluzione e conservazione della specie umana sia sul piano metafisico che su quello politico (attraverso l'istituzione delle leggi e del loro valore civile). In tale quadro viene recuperata e ricondotta l'origine dell'uomo nobile, che altri non è che il filosofo, ad un fenomeno di necessità naturale secondo il meccanismo avicenniano della preparazione e del flusso dell'intelligenza -Dio infonde l'intelletto e con esso il seme della nobiltà solo in quell'organismo naturalmente preparato quando più adatto a riceverlo-, che faccia della riproduzione la ragione di una nobiltà di nascita che si configura al contempo come perfezione naturale e dono di grazia divina. Si entra qui in un filone antropologico che sorprende per la modernità dell'intuizione circa la progressione delle fasi storiche dell'umanità dalla preistoria ferina alla civiltà. In linea di massima, si aggiunge, la profetologia cristiana fonda se stessa principalmente sulla capacità di recepire da parte dell'intelligenza un dono di Dio e della Rivelazione, mentre nella visione islamica medievale si coglie più un intento razionalista che, senza derogare eccessivamente dal flusso dell'intelligenza divina, caratterizza la profetologia in termini di razionalità speculativa. Se tale aspetto può apparire, infatti, sorprendentemente diverso dalla tradizionale funzione profetica veterotestamentaria, in realtà non si estranea dal flusso della Rivelazione per recuperarne motivazioni profondamente umane e politche. In altri termini una profetologia, quella proposta da Avicenna che tradisce la presenza di un insospettato e non marginale  neoplatonismo (non di rado, ma non necessariamente, concorrente con il filone aristotelico) in seno al pensiero medioevale Islamico. A questo punto, una conclusione non puo' mancare circa l'influenza del pensiero islamico su Dante, aldilà del contributo escatologico (sono cent'anni che padre Asin Palacios ha svelato le forti somiglianze tra l'invenzione e costruzione dell'aldila  dell'uomo dantesco e l'oltretomba musulmano). La preponderanza dell'influsso di Ibn Rushd (l'Averroe' dei Latini) sul Sommo Poeta è provata e testimoniata anche eccessivamente, mentre meno dibattuta è quella di Ibn Sina  che in oggi caso non si limita ad individuarsi nella teoria dantesca della luce in cui si sciolgono le anime nella Divina Commedia di Dante, ma si ritrova soprattutto nel IV trattato del Convivio, dove l'Alighieri adombra concetti avicenniani che pervadono anche la "Lettera sulle profezie".
Casalino Pierluigi.