Tra gli esempi recenti di «accoglienza» all'italiana non c'è che l'imbarazzo della scelta. Si va dall'emigrato bastonato (pare) dai carabinieri a Parma, al rom perito nell'incendio di in una catapecchia a Roma, al ragazzino ucciso a Genova dalle esalazioni di una stufetta di fortuna dopo che al padre moroso era stato tagliato il gas.
Ma a rivelare meglio l'ambiguità del prevalente concetto di accoglienza è il caso dei due polacchi morti nel crollo a Napoli di un edificio occupato da clandestini. La tragedia è avvenuta in pieno centro. Che l'abitazione fosse pericolante era notorio. Lo stesso proprietario aveva chiesto l'intervento dei vigili per sgomberarla. Sul perché la denuncia non abbia avuto seguito possiamo solo congetturare. Immaginiamo allora che la cosa sia venuta alle orecchie del sindaco, la pia signora Rosa Russo Jervolino, o dei suoi fiduciari parimenti timorosi di Dio e colmi di amore per il prossimo. Si saranno perciò detti: «Possiamo noi togliere un tetto a 'sti criature e imporre la legge a scapito dell'umanità? Già non hanno nulla, se gli sottraiamo anche questo va a farsi friggere il proverbiale cuore napoletano. Allora che restino, nel nome del Signore e della giunta di centrosinistra». Così, sono morti i due polacchi. Questa, e non altra, è da un ventennio la più diffusa filosofia italiana sull'immigrazione. Un evento caotico che supera numericamente le invasioni cosiddette barbariche di 1.500 anni fa e che dovrebbe essere affrontato senza tabù. Specie dall'Italia, la più vulnerabile delle nazioni Ue per la posizione di molo allungato nel Mediterraneo. ..