Cronache dell'agonia PD Ferrara da Paolo Giardini

TESTATA 9 - Copia.jpgLA STORIA IN SALSA ZADROPer la Zadro è irrilevante che alla fine degli anni ’30 Olanda e Belgio, confinanti con uno stato che già li aveva invasi e occupati senza perdersi in formalità come le dichiarazioni di guerra, avessero a che fare con quel vicino nel frattempo divenuto ancor più fetente di prima.

L’assessore all’ambiente, signora Zadro, s’era preparata così bene il suo discorso per la commemorazione dei martiri di Porotto, che ha ritenuto doveroso riproporlo a mezzo stampa per l’edificazione popolare.

Anche altri amministratori fecero altrettanto mesi fa, quando, nell’angoscia dovuta ad una dicitura inesatta in una lapide sul castello, riuscirono con involontario umorismo a stemperare la severità di una rievocazione funesta. Ma la cosa si esaurì in sé, a differenza della gravità del discorso della Zadro che, ammantando di rispettabilità istituzionale un’analisi posticcia, con frivola disinvoltura stravolge sacrosante verità per sostenere risibili considerazioni.

La signora, forse d’accordo con la parrucchiera, dichiara d’aver basato le sue interpretazioni “guardando la storia”. Non c’è dubbio che l’abbia guardata da lontano, perché rievocando Auschwitz e le Leggi di Norimberga assurti ad espressioni di Stato, ci erudisce spiegando che in Olanda e Belgio, a suo dire paesi “totalmente liberi e civili”, “non potevano celebrarsi matrimoni tra tedeschi di razza mista: un tedesco in Olanda non poteva sposare una donna ebrea”.

 

La Legge per la Protezione del Sangue e dell’Onore Tedesco del 15/09/1935, illustrava il rispetto tedesco per i suoi cittadini e per gli altri Stati nel suo primo articolo, che recitava: “I matrimoni tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affini sono proibiti. I matrimoni contratti in violazione della presente legge sono nulli anche se per eludere questa legge venissero contratti all'estero.”

Anche trascurando i rimbombi dei tamburi di guerra che passavano le frontiere, Olanda e Belgio, apprendendo che i matrimoni di cittadini tedeschi contratti nei loro paesi (atti pubblici di paesi sovrani) non valevano una cicca per il simpatico confinante, erano certi che si sarebbero inimicati la Germania nazista agevolando l’elusione di quella legge. Potevano permetterselo dopo quanto successo nel ’14-18 (guarda caso poi replicato nel ’40) per agevolare qualche tedesco?

Perché la Zadro “dimentica” che la libertà è solo un’astrazione sotto la minaccia delle armi? Perché ha bisogno per il suo fervorino a favore della tolleranza in versione comunale estense (*) di portare esempi in cui paesi europei “totalmente liberi” compiano violazioni ai diritti umani. Quindi parlare di leggi razziali italiane non va bene perché fasciste. Come recriminare la generica acquiescenza degli maggioranza dei ferraresi a quelle leggi, perché il permanere di quell’attitudine fa ancora comodo ad un amministratore pubblico. Altrimenti un assessore all’ambiente dovrebbe dedicarsi davvero al compito immane della tutela ambientale e non limitarsi a fungere da assessore alla tutela delle acque sporche. E l’ospedale di Cona farebbe la fine della Bastiglia.


Paolo Giardini

(*) La tolleranza alla moda, non solo a Ferrara, è quella che condanna i “respingimenti” dei disperati che rischiano la pelle attraversando mari e deserti. Ma che non si preoccupa affatto che schiere di disperati siano esonerate dal pagare cifre stratosferiche alle organizzazioni criminali per viaggi bestialmente selettivi, consentendo loro di arrivare in aereo come turisti al solo costo del biglietto. Così eventuali respingimenti, fatti allo stesso modo, non riconsegnerebbero i disperati all’inferno garantito dai malavitosi.

L’ipocrita laica accoglienza comunale pretende che i clandestini vadano alla religiosa Caritas, poi, scaduto il tempo concesso, se non trovano lavoro o non vincono il superenalotto (equiprobabli), possono pretendere l’elemosina ai parcheggi e semafori, oppure spacciare droga. Meglio la droga, che consente loro di alloggiare in hotel.

Se il clandestino non può pagarsi l’alloggio deve imparare a non dormire, perché se si adatta ad un riparo di fortuna entrando in un tugurio abbandonato, non appena il Comune se ne accorge per mezzo dei vigili urbani non gli fa la multa per divieto di sosta, per mancanza di targa, ma gli mura il tugurio o lo rade al suolo. Un modo gentile per stimolarlo a spacciare droga.

BUON SENSO

Nel tardo pomeriggio di domenica 18 Aprile non ero il solo spettatore al Teatro Comunale ad ascoltare il salottiero conversare con cui Calimani, presidente del MEIS (Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah, di cui il bando architettonico per l’adeguamento dell’edificio in via Piangipane è già avviato), intratteneva sul palco i suoi ospiti.

Il teatro era pieno e quella fiumana di persone che uscì alla fine, dopo il congedo del saluto conclusivo del Calimani, aveva ancora nelle orecchie l’esplicita richiesta, formulata pochi minuti prima ai tre ospiti, di ricevere suggerimenti sull’impostazione da dare al museo.

Fra la folla c’era tutto il gotha istituzionale cittadino.

C’era anche il direttore scientifico del MEIS, il prof. Piero Stefani. Fortunatamente per i miei gusti, perché, pur essendo un misantropo con scarse aspettative nella saggezza altrui, mi sembrava troppo deprimente che nessuna autorità si fosse scocciata per una tardiva ricerca di abbozzi d’idee del Calimani, più consona ad un colloquio informale per un’imbastitura d’ipotesi preprogettuale che di una necessità operativa a cose avviate con un bando architettonico in corso d’emissione!

Era pubblica ammissione del fallimento del lavoro svolto o astuta voglia di replicare la meravigliosa gestazione di Cona?

Per fortuna, dicevo, fra i presenti c’era anche il prof. Stefani, che successivamente ha dato le dimissioni da direttore scientifico dell’organismo presieduto dal Calimani. Forse s’è dimesso per ragioni che non posso immaginare. Mi piace però credere che in quella folla ci fosse almeno un concittadino rispettoso del buon senso.


Paolo Giardini

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