A bocce ferme, anzi disintegrate, ci si potrebbe chiedere se i cosiddetti «comunisti eretici» abbiano «sbagliato in grande», sprecando la loro intelligenza nella critica costruttiva di qualcosa che non aveva troppe chance di successo storico, o se invece abbiano «sbagliato in piccolo», svolazzando come falene intorno a un totalitarismo che, alla prova dei fatti, si dimostrava ogni volta molto più intelligente e bruciante di loro nel fare politica attiva, fin tanto che la faccenda poteva durare (magari rinvigorita periodicamente a suon di legnate e gulag).
È destino di molti intellettuali engagé finire in una simile ambiguità, ma quelli comunisti ci sono cascati come nessun altro (indice di una maggior «credibilità umanistica» del comunismo o del fatto che alla fine i «nazi» della premiata ditta Carl Schmitt&C. erano più accorti?). A ogni modo, la loro storia commovente, spesso tragica, è ripercorsa in un possente volume in uscita oggi nelle librerie: L’età del comunismo sovietico. Europa 1900-1945 (Jaca Book, pagg. 674, euro 40, a cura di Pier Paolo Poggio). È il primo di una serie di cinque volumi intitolata «L’altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico»: ...
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