Governo Draghi e situazione politica., differenze con Conte: Una riflessione fuori dalle diverse e soggettive opinioni.



Da: Pierluigi Casalino  


 Governo Draghi e situazione politica. Una riflessione fuori dalle diverse e soggettive opinioni.
 
Un grande entusiasmo ha certamente accompagnato la nascita del governo Draghi. Un'ondata emotiva non nuova nella pubblica opinione del Nostro Paese. La maggioranza dei mezzi di informazione ha raccontato, in effetti, l'evento come una svolta epocale e ha parlato del suo principale protagonista come di un salvatore della patria. Lasciamo da parte questi toni – talvolta imbarazzanti – più degni di una monarchia che di una democrazia. Concentriamoci invece sulla sostanza politica. È indubbio che Mario Draghi può vantare una fiducia assai vasta: nel parlamento, nel paese, in Europa, sui mercati finanziari. Una fiducia che è una risorsa utilissima. Ma è altrettanto indubbio che l'ex presidente della Banca centrale europea non ha soppiantato un governo – quello di Giuseppe Conte – screditato, o arrivato a fine corsa a causa di una sfiducia montante. In questi giorni si legge che "lo spread è crollato". Certo, con l'arrivo di Draghi la differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi è scesa allo 0,9 per cento. Ma prima, con Conte, non era così alta. Da mesi era in costante discesa fino ad arrivare, prima della crisi di governo, all'1,1 per cento. Ai tempi del primo governo Conte, formato da Movimento 5 stelle (M5s) e Lega nord, raggiungeva picchi del 3 per cento. L'abbassamento si deve al Conte II e soprattutto all'Europa che con il recovery plan aveva dato un chiaro segnale di fiducia verso i paesi duramente colpiti dalla pandemia come l'Italia.Anche tenendo conto della fiducia espressa dai cittadini in alcuni sondaggi non si può parlare di un'immagine in bianco e nero. Il governo Draghi è visto con favore dal 70 per cento degli italiani. Ma, d'altro canto, Conte e il suo governo non erano affatto impopolari e superavano agilmente il 50 per cento di approvazione. Ancora il 1 febbraio, secondo un sondaggio di Ipsos, il 66 per cento degli intervistati vedeva la crisi di governo scatenata da Matteo Renzi come "inutile" e il 44 voleva che Conte rimanesse premier. Si può concludere che non è stato un senso generale di sfiducia a porre fine al governo Conte. Si può anche dire che forse quel governo non le ha sbagliate tutte, né sulla gestione della pandemia né sulla reazione alle sue conseguenze economiche e sociali. Ne abbiamo sentite tante su un "governo senz'anima", senza prospettive e progetti. Intanto in questi bilanci affrettati molti e persino acuti commentatori tralasciano di ricordare che è stato proprio quel governo a portare a casa il recovery plan di più di 200 miliardi di euro, risultato tutt'altro che scontato, tutt'altro che secondario. Veniamo dunque alla questione politica. Se Conte (e qui il giudizio sul governo Conte va oltre la privata e soggettiva considerazione in merito  al suo operato) è arrivato a fine corsa lo deve al semplice fatto che non disponeva più di una maggioranza parlamentare. Questo fatto merita uno sguardo ravvicinato. Dopo le elezioni politiche del 2011 l'Italia non ha più avuto capi del governo indicati chiaramente dal voto popolare, usciti vittoriosi dalle urne come leader del loro partito o della loro alleanza, e dal 2013 non ci sono state alleanze organiche con una maggioranza in parlamento. Con le elezioni del 2013 e il successo dei cinquestelle il sistema partitico è passato dal bipolarismo al tripolarismo. Nel tempo sono poi nate coalizioni fragili che univano il diavolo con l'acqua santa, il Partito democratico con pezzi della destra nei governi Letta, Renzi e Gentiloni; i cinquestelle con la Lega nel Conte I, e poi con i cari nemici del Pd (fino al giorno prima accusato di essere il "partito di Bibbiano") nel Conte II. Sappiamo bene che quest'ultimo esecutivo è nato per paura della elezioni, per "salvare l'Italia dai nuovi barbari", come ha detto Beppe Grillo. E che questa paura di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni all'inizio era l'unico collante della strana coalizione nata grazie a Grillo e, non bisogna dimenticarlo, Matteo Renzi. Del resto va constatato un certo ritorno ad una costante della politica italiana presente dai tempi di Depretis, il trasformismo e il risultato si è visto anche nella seconda Repubblica in più occasioni.Date le pessime premesse la coalizione guidata da Conte, se pur mal assortita, ha fatto molto meglio di quanto ci si potesse aspettare, probabilmente a causa della dura prova della pandemia. Che dovesse fallire non era scritto nella storia, ma esclusivamente nei piani di Italia viva, minuscola ma indispensabile forza politica guidata da Renzi, dapprima ispiratore e poi affossatore del Conte II. L'operazione Draghi si rivela rischiosa più per le forze che sostenevano il governo precedente, ma non mancano problemi anche per le forze che erano all'opposizione, come si nota a proposito dei provvedimenti per la riapertura.Non trovo molto attendibili quei commenti che parlano della presunta "incapacità della politica, dei partiti". È  vero in minima parte, nella circostanza. In un parlamento privo di maggioranze organiche chiunque, infatti,  sarebbe "incapace" di tirare fuori maggioranze negate dal voto dei cittadini. A questo punto rimanevano due alternative: o il voto subito o un governo "del presidente".Sergio Mattarella ha optato per la seconda soluzione, soluzione passata – ricordiamocelo – grazie al sì di quasi tutti i partiti. È stato un sì molto sui generis, a scatola chiusa, senza porre condizioni sul programma e sulla composizione del consiglio dei ministri. Si può dire che è stato un sì che nell'immediato può giovare all'Italia sullo scacchiere europeo e internazionale, dove Draghi è percepito come massima garanzia di affidabilità e di stabilità. Ma è anche un sì le cui conseguenze per il sistema partitico, già sfilacciato e sfibrato, appaiono incalcolabili. Sarebbe senz'altro positivo se la Lega di Matteo Salvini facesse sul serio sulla svolta, al momento solo di facciata, verso una posizione non più rudemente ultranazionalista ("Prima gli italiani!") e antieuropea. Rispetto a questo nuovo esecutivo, Salvini ha il vantaggio di non dover temere un "effetto Monti" sui consensi del suo partito: mentre il governo Monti nel 2011 sottoponeva gli italiani a un programma di lacrime e sangue, l'esecutivo di Draghi deve gestire una crisi economico-sociale pesantissima, ma ha dalla sua più di 200 miliardi di euro per farlo. Inoltre Salvini ha potuto realizzare una svolta improvvisa senza causare scossoni nel partito: non una voce critica si è levata contro la sua decisione di sostenere il governo. Solo negli ultimi giorni, come detto, sono emerse contraddizioni in tema di riaperture e di orari del coprifuoco. L'operazione Draghi si rivela invece ben più rischiosa per le forze che sostenevano il secondo governo Conte. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti per ora è riuscito a tenere insieme quel centrosinistra fatto dai democratici, dai cinquestelle e da Liberi e uguali, respingendo quello che ai suoi occhi era il piano di Renzi, e cioè disarcionare l'alleanza Pd-M5s. Ma quell'alleanza, per sopravvivere, ha bisogno della sopravvivenza dei cinquestelle. Già prima della nascita del governo Draghi il movimento godeva di pessima salute, senza bussola e senza leadership legittimata. Ora i suoi problemi peggiorano ulteriormente: deve sostenere un premier che – anche se Grillo ha definito Draghi "grillino" – è la quintessenza di quell'establishment contro cui è nato il M5s, e lo deve fare ingoiando inoltre il rospo indigeribile di governare insieme a Forza Italia e a Silvio Berlusconi (lo "psiconano" di grillina memoria) contro cui si scatenò sin dai primi v-day.In questo contesto i rischi di sfaldamento e di declino inesorabile si fanno ancora più concreti. I cinquestelle hanno solo una via d'uscita: quella di definire cosa vogliono fare da grandi, magari recuperando con più forza quel profilo ecologico e civico degli albori (rinunciando però al mito dello splendido isolamento che accompagnò la loro nascita). Altrimenti la loro storia sarà finita così come quella del nuovo centrosinistra, e il governo Draghi sarà ricordato, al più tardi nel 2023, come una breve e felice parentesi prima della vittoria di una delle piu' incerte destre in Europa.

Governo Draghi, differenze con Conte

Governo Draghi e governo Conte: proviamo a trovare le differenze.
Ci sono personaggi che questo cambiamento lo hanno fortemente voluto, e una volta avvenuto si sono dichiarati entusiasti, e hanno auspicato quello che su molti giornali è stato chiamato il "cambio di passo", sottintendendo che tutto ciò che serviva fare avrebbe subito una netta accelerazione. E le cose che serviva fare erano chiare: la lotta alla pandemia e in particolare la vaccinazione della popolazione. Per non parlare della distribuzione dei cosiddetti "ristori", dei quali numerose categorie di lavoratori erano bisognosi e che venivano reclamati a gran voce da numerosi soggetti, solo in parte appartenenti alle suddette categorie. Il tutto ovviamente nell'ambito del faraonico Recovery Plan, riguardo alla cui messa a punto si avrebbe finalmente smesso di dormire sugli allori. Devo dire che, sia pure a breve distanza temporale dal disarcionamento del Governo Conte, a me sembra che le cose, quasi tutte le cose, marcino esattamente allo stesso modo. Il governo continua a rincorrere l'emergenza pandemica, e si parla di "terza ondata". I vaccini scarseggiano o appaiono insicuri e ci teniamo tutti quelli che possiamo, salvo guardare se gli altri paesi fanno lo stesso. Per vedere i ristori si continua a dover andare al ristorante (ma non la sera, come prima). Rimaniamo all'oscuro dei contenuti del Recovery Plan, sul quale è calato il silenzio, e per quello che ne sappiamo il sonno al riguardo potrebbe essersi fatto comatoso.Tutto uguale quindi? Ma ovviamente no. Altrimenti non ci sarebbe stato alcun motivo per creare un'altra grossa difficoltà a un paese già stremato. Ci sono ovviamente le  differenze, come nel gioco enigmistico. Per esempio, una certa riforma, che riguardava la prescrizione, invece di abolirla ci è caduta dentro. E dal recipiente in cui è stata tuffata difficilmente riemergerà forte come accade all'Obelix dei fumetti. Il governo è uno dei tanti governi, tecnici e meno tecnici, che abbiamo visto negli anni, ma questa volta non ci si è arrivati in seguito a disastri economico-politici. Questa volta c'è invece all'orizzonte una cascata di soldi di entità mai vista. E questa differenza potrebbe non essere tanto piccola.Sul Recovery plan, il ministro Franco dice che: "Rafforzare strutture tecniche della pa per accelerare. Risorse disponibili alla fine dell'estate"Poi c'è il Recovery Plan, che pare in questa ultima versione stia uscendo dalle tastiere di premiate Società di consulenza. Il problema è "premiate da chi". Pare, comunque, non dalla cittadinanza italiana, che di esse non conosce nemmeno il nome. Fin qui niente di male. Il problema è che non ne conosce nemmeno l'esistenza, dato che dei fini per i quali si userà il Recovery Plan niente si sa, e di niente si discute più sui media mainstream.Un'altra piccola differenza è il nuovo ministero della Transizione ecologica: una grande discontinuità col passato. Il sollievo che si prova grazie alla sua istituzione è pari a quello che ci rasserena pensando che, finalmente, con questo governo arriveranno di sicuro quegli investimenti nella ricerca, nella scuola e università, a sostegno dei giovani, e ovviamente nella sanità pubblica, investimenti che sono promessi da anni. 

Casalino Pierluigi