L'aggettivo, ormai, è applicato a tutto, a partire dalla tecnologia. E ha perso il suo vero senso www.ilgiornale.it |
Inutile ripetere che i più famosi romanzi di Orwell attaccavano il totalitarismo, in particolare quello sovietico (ma giusto perché il nazismo era stato sconfitto), tuttavia è utile ascoltare cosa diceva lo stesso Orwell, e contro chi combatteva fuori dalle sue opere, per esempio andandosi a leggere Sullo scrivere e sui libri, appena uscito da Lindau. Anche perché è sorprendentemente attuale, e almeno sapremo meglio cosa potremo definire orwelliano. In un passaggio Orwell tocca proprio le varie posizioni degli intellettuali comunisti durante la guerra. All'inizio il nazismo era guardato con sospetto, dopo l'accordo con Stalin forse Hitler aveva ragione, dopo l'attacco di Hitler a Stalin era un nemico. Il comunista «dopo il settembre del 1939 doveva credere che la Germania avesse ricevuto più torti di quanti ne avesse inflitti mentre subito dopo il bollettino del 22 giugno 1941 doveva ricominciare a credere che il nazismo fosse il male più atroce del mondo».
I nemici di Orwell erano i comunisti, ma non solo. In generale chiunque difendesse il totalitarismo, qualsiasi totalitarismo, per raggiungere quello che veniva visto come bene supremo, fosse esso religioso o politico. «Quindici anni fa» - scriveva nel gennaio 1946 sulla rivista Polemic - quando si difendeva la libertà individuale, la si difendeva dai conservatori, dai cattolici e, in certa misura, perché avevano poca importanza in Inghilterra, dai fascisti. Oggi si è costretta a difenderla dai comunisti e dai compagni di strada». Specifica anche che «i cattolici e i comunisti si assomigliano molto quando affermano che un oppositore non può essere allo stesso tempo onesto e intelligente», e stigmatizza tutte le espressioni spregiative con cui uno scrittore viene stigmatizzato da un intellettuale impegnato, tipo «individualismo piccolo-borghese», «illusioni del liberalismo ottocentesco», «alle quali, non avendo un significato preciso, è difficile rispondere».
Cos'è la libertà di uno scrittore per Orwell? Non aderire a nessuna ideologia politica, mai. Neppure all'ambientalismo e al pacifismo, in quanto «il semplice suono delle parole che terminano con ismo sembra già puzzare di propaganda». Il nemico numero uno di Orwell è sempre stato la propaganda. Tra gli scrittori «il pennivendolo corrotto che passa da una riga di propaganda all'altra con la stessa facilità con cui un suonatore di organetto cambia melodia». Se fate mente locale nel nostro Paese riconoscerete il ritratto di molti esponenti della cosiddetta classe intellettuale. «Non intendo insinuare», continua Orwell, «che la disonestà intellettuale sia tipica dei socialisti o delle persone di sinistra in generale, o che sia più comune tra di loro. È la semplice accettazione di qualsiasi disciplina politica a sembrare incompatibile con l'integrità letteraria». Ora, guardatevi intorno e cercate di vedere quali sono gli scrittori italiani che non professano questa o quella fede politica, che non esprimono un pensiero unico sul femminismo, sul politicamente corretto, sul liberismo. Dopodiché capirete che le distopie dei film sull'Occidente capitalista, tecnologico e cattivo, sono poco orwelliane, ma che in realtà è il presente degli intellettuali a rappresentare una distopia orwelliana. Non c'è bisogno insomma di andare troppo lontano, né di guardarvi una puntata di Black Mirror (molto poco orwelliana). Piuttosto accendete la televisione, mettete un talk show politico (uno qualsiasi), e assisterete a un vero spettacolo orwelliano