Convegno Oswald Spengler: aurore e tramonti del secolo breve - 20 Novembre, con Luca Siniscalco (Intervista)

Segnaliamo l'imminente  Convegno su Oswald  Spengler, il celebre intellettuale del primo novecento per   il cosiddetto  Tramonto dell'Occidente ,  tra i primissimi a  domandare e controcorrente  una diversa  nobile  modernità  contro certo zeit geist  progressista  meramente economicistico,   messaggio, visto il divenire sociale  flagrante nel nostro tempo,  economico totalitario e  pseudoprogressista  politicamente corretto,  quanto mai precursore e  lungimirante.
Presso Milano, 20 novembre - Università degli Studi di Milano: «Oswald Spengler: aurore e tramonti del secolo breve».
Tra i  relatori  (vedi photo per il programma,  tra nomi tutti noti e autorevoli,  ricordiamo a mera memoria, Luca Gallesi, Gianfranco Lacchin,  Andrea Scarabelli)   il giovane intellettuale e giornalista blogger  Luca Siniscalco, area della controcultura di Milano,  Antares, Nuovo Rinascimento-  a cura di  Davide Foschi,  a suo tempo Nuova Oggettività di Sandro Giovannini,   scrittore per diverse testate diversamente alternative, Look  Magazine, L'Intellettuale  Dissidente,   Barbadillo,  anche Il Giornale OFF.  Autore anche in diversi libri digitali e  no  collettanei,  Al di là della destra e della sinistra (La  Carmelina),  Non aver paura di dire (Heliopolis),  Futurismo  Renaissance (D- Editore) ecc.
Di seguito  una intervista a  Luca Siniscalco: (a  c. di  R. Guerra)

Siniscalco, sei tra i giovani intellettuali contro-culturali oggi in Italia: uno zoom sul tuo percorso già ricco di background significativi?
Una cultura contro-culturale, mi si perdoni l'ossimoro, è oggi quanto di più vitale si possa opporre ai soloni del progresso salottiero e ai non-luoghi dell'intellettualismo asfittico. Segni di una testimonianza eccentrica, per dirla con Geminello Alvi, stanno sorgendo numerosi, forse proprio grazie agli spazi vuoti che il mondo postmoderno, nella sua struttura liquida o aeriforme, lascia plasmare. Sulla destinazione finale di queste tracce, solo i posteri potranno giudicare.
In questo contesto, muovendomi tra collaborazioni universitarie (con l'Università degli Studi di Milano e la European School of Economics), editoriali, e progetti culturali extra accademici, tento di innervare il dibattito – con tutti gli evidenti limiti del caso – dei semi che mi stanno più a cuore: il pensiero di Tradizione, l'estetica mitico-simbolica, la critica culturale e filosofica al modernismo, l'avanguardia del realismo magico.
Talvolta, con pubblicazioni, conferenze, semplici – ma vitali – incontri, le radici attecchiscono.
Per i frutti, c'è ancora da attendere.

Luca, tra i vari "software", per quel che riguarda Milano e l'Area «Antarès», un approfondimento?
Milano è – così ci insegna la storia nazionale – città rivoluzionaria. Negli ultimi anni molte coincidenze significative sembrano indicarla come la capitale italiana di quel pensiero eccentrico di cui parlavamo. La rivista «Antarès», sotto la direzione di Andrea Scarabelli e con il supporto delle Edizioni Bietti, continua indefessa a sfornare approfondimenti sempre più efficaci nella tematizzazione di un'altra modernità. L'ultimo fascicolo, dedicato a Dino Buzzati, che presenteremo nella prestigiosa sede di Book City il prossimo 17 novembre, mostra efficacemente come trasfigurare il reale attraverso l'immaginazione. Come coniugare materia e spirito nell'età del disincanto e della demitizzazione.
I compagni di viaggio lungo questo percorso sono d'altra parte numerosi. Fra quelli con cui ho il piacere di collaborare, e che cito con stima e riconoscimento: «L'Intellettuale Dissidente», portale d'informazione e approfondimento giovane, libero e anticonformista – una rete di ribelli, in senso jüngeriano; il movimento artistico e culturale del Nuovo Rinascimento, guidato dal poliedrico Davide Foschi, impegnato in un progetto di ricostruzione dell'integralità olistica dell'uomo; la casa editrice NovaEuropa, dedicata all'approfondimento di prospettive comunitariste in opposizione al tragico spettro della morte del Politico; «la Biblioteca di Via Senato», mensile bibliofilo ma soprattutto rivolta estetica contro quanto di brutto e volgare alberga nel mondo moderno; «Il Giornale OFF», uno sguardo alternativo sull'Italia degli artisti.
Qui mi fermo, ma di iniziative, così come di singoli valenti studiosi, ve ne sono numerose – e numerosi altri progetti stanno per nascere. Tanti "software", come tu li hai chiamati, per un postmoderno alternativo, tanto arcaico quanto futurista.

Luca Siniscalco, tra i tuoi diversi scritti, Jünger, Heidegger e Evola, tra altri,  tutti splendidi reazionari o al contrario,  dopo la fine della storia e delle ideologie,  il  vero progressismo "individuale" e sempre anti-collettivo in certo senso, non sta più a sinistra?
La questione che poni è complessa, perché coinvolge tanto le categorie della dottrina politica quanto la distinzione filosofica e antropologica fra individuo e collettività. Mi permetto tuttavia di destrutturare la domanda. Sulla scia di tanti audaci protagonisti della (anti)contemporaneità – penso, fra gli altri, a Costanzo Preve, Alain de Benoist e Alexander Dugin – sono pienamente convinto del necessario superamento delle categorie politiche novecentesche. E, nello specifico, non mi limito a constatare la bancarotta del dualismo destra/sinistra, ma della maggior parte delle polarità attorno a cui si è costruito il dibattito politico moderno. Così, per ripensare adeguatamente la cultura contemporanea si rende dapprima necessaria una ridefinizione delle opposizioni concettuali – e ancor prima linguistiche – a partire da cui è sorto l'immaginario dominante, e la statica reificazione dell'inconscio collettivo che ne è il corrispettivo. Servono nuovi circoli ermeneutici grazie a cui superare dicotomie ormai stantie e rinsaldare teoria e prassi, vita e spirito, sensibile e sovrasensibile. In questo senso il singolo, che non è individuo atomizzato ma persona aperta in senso orizzontale e verticale, è il nucleo fondativo e propulsivo di una comunità autentica. Le riflessioni duginiane sulle figure della Quarta Teoria Politica e del soggetto radicale stano fornendo molti stimoli proprio in questa direzione.

Siniscalco, in Italia certa egemonia culturale ideologica continua a condizionare la libera informazione e la libera cultura?
La risposta è, ahimè, affermativa. L'egemonia è, come ben sappiamo, sempre dello stesso colore. Eppure la forma con cui si manifesta ha subito una rimodulazione: se la censura esplicitamente politica si è di molto ridotta, si è invece rafforzata e incancrenita una certa rigidità culturale: le posizioni liberali, moderniste e progressiste tendono sempre più a cristallizzarsi, a rifiutare il confronto con l'alterità e le sfide del nuovo millennio. Il progressismo, insomma, diventa conservatorismo.
Questo paradigma, alimentato dal politicamente corretto, da un culto vetero-illuminista della ragione, da un certo naturalismo (in senso husserliano), e da un radicale scientismo di ritorno (spesso compagno della filosofia analitica di stampo anglosassone), fonda un mix culturale letteralmente mortifero, in quanto tutto teso a definire normativamente il campo del possibile – secondo dei confini perlopiù limitati, terribilmente limitati rispetto agli spazi infiniti che il mondo della tecnica e del digitale ci hanno spalancato. Questo modello, che è peraltro un vizio della globalizzazione non specificamente italiano, pensa in modo moderno (essenzialmente ottocentesco) l'era del postmoderno, della pluralità degli stati dell'essere coglie soltanto il dato bruto, materiale, monotonico e quantitativamente determinato. Le testimonianze costruttive che abbiamo citato nelle precedenti risposte ci invitano tuttavia a perseverare. I vinti di questa modernità possono essere i vincitori di un'altra modernità sempre possibile.

Luca, quale postura culturale e artistica adottare, allora, in questa tragica contemporaneità?
Se «l'essere si dice in molti modi» (Aristotele), anche le vie sono plurime. Mi limito a una suggestione, "metodologica", a partire dall'ambito artistico. Qui la dimensione autentica dell'immagine e il suo portato sacrale sono stati completamente obliati. L'arte è oggi intesa nella sua sola dimensione immanente, ascrivibile alla pura conoscenza sensibile, talora relegata alla sola componente del divertissement, del "gusto estetico". Ancora una volta, una delle componenti del reale, quella sovrasensibile, rimane dimenticata. Eppure, tanto il Novecento quanto la stretta contemporaneità hanno visto numerosi autori riflettere e sperimentare il mondo nella sua dimensione plurale, simbolica e analogica. Di queste singolarità illustri ma riservate ha scritto recentemente Roberto Calasso. Con lui, ci piace guardare con fervore a questi "analogisti" e alla loro testimonianza di apolitìa metafisica. A questi titani i quali «non predicavano, non convertivano. Ma parlavano e scrivevano. Contavano sul puro potere della parola, sulla sua capacità di rivolgere il cuore di chiunque verso un nuovo Oriente. Era impossibile deluderli perché non si aspettavano nulla dal mondo. Li appagava soltanto la loro indagine, che non si concludeva mai».