Gli Stati sopravvivono soltanto quando la trasmissione del potere avviene secondo regole per quanto possibile collaudate dal tempo e soprattutto accettate dalla maggioranza dei cittadini. Certo, la storia è piena di tiranni e rivoluzionari che scalzano il vecchio potere e ne prendono il posto. Ma il loro regime potrà dirsi sicuro quando avranno saputo conquistare il più difficile dei trionfi, la legittimità. Come tutte le regole umane anche quelle che presiedono alla trasmissione del potere perdono progressivamente la loro originale efficacia e richiedono modifiche, adattamenti, aggiustamenti, riconsiderazioni. Ma nulla più pericoloso per la pace e le relazioni internazionali quanto il disprezzo e il non tener conto del principio di legittimità e la generale sovversione degli Stati che appartengono alla stessa famiglia continentale, ideale o di appartenenza a organismi internazionali su scala planetaria. Le monarchie, soprattutto nel XVIII secolo, ne erano perfettamente consapevoli. Alla fine della guerra, nessun Stato, ancorché vincitore, avrebbe osato umiliare un grande avversario sino a pregiudicarne l'autorità. Ogni sovrano sapeva che la sua legittimità dipendeva in larga misura dalla legittimità dei suoi "reali" cugini e che l'Europa era una famiglia di sovranità intrecciate, interdipendenti, destinate a sostenersi vicendevolmente come contrafforti di una sana architettura politica. Le guerre erano inevitabili, talvolta necessarie, ma non dovevano recare all'avversario un danno irreparabile o suscitare in lui un inestinguibile sentimento di vendetta. La rivoluzione francese cambia radicalmente la storia d'Europa e del mondo. Con la decapitazione di Luigi XVI distrugge la legittimità del Vecchio Continente e del Vecchio Regime ed apre un vuoto istituzionale in cui tenteranno di mettere radici, per periodi più o meno lunghi, la Repubblica giacobina, il Direttorio, il Consolato, l'Impero. Ma la morte del re francese, come quella di Carlo I a Londra il 30 gennaio 1649, rappresenta un evento prevalentemente nazionale. Il vero dramma istituzionale inizia quando Napoleone Bonaparte invade l'Italia, sopprime le sue antiche dinastie, sovverte gli equilibri della penisola e comincia ad sovvertire quelli continentali. Da allora, ancor più che a Valmy, prende l'avvio una nuova storia, irrazionale e nevrotica, in cui gli Stati vengono incessantemente distrutti, spartiti e rifatti, ora secondo principi repubblicani, ora secondo principi monarchici. Tale storia violenta ed arbitraria è in gran parte il risultato il risultato della paura. Il primo a temere le conseguenze del disordine è colui che ne porta la responsabilità. La Francia bonapartista e napoleonica conquista vecchi Stati, li annette o crea Stati satelliti, perché sa di avere violato le regole della convivenza internazionale e si spinge verso nuove conquiste nella speranza di garantire a sé stessa in questo modo la sicurezza desiderata. La gloria e le vittorie sono la base di un teatro dietro il quale s'intravedono la paura e l'insicurezzza. Il primo ad accorgersi di simile disordine e della necessità diporvi rimedio fu Talleyrand, proprio l'uomo che ha servito Napoleone, come ministro degl Esteri, negli anni dei suoi trionfi. Si può ben dire, tuttavia, che l'Europa postnapoleonica, fu ricostruitadal zar russo Alessandro I, che ricostruì l'idea di legittimità in modo comunque nuovo: Talleyrand vi contribuì con notevole peso. Fu impedito che la Francia fosse3, dopo la sconfitta, fosse umiliata dai vincitori e anzi si decise di restituire ad essa, come agli altri Stati, ai sovrani spodestati i vecchi territori, eccetto quelli da essi ceduti nel corso della guerra con regolare contratto. Non si trattò, quindi, di una semplice "restaurazione", ma della ricostruzione, con materiali vecchi e concetti nuovi, dell'edificio politico europeo. Non sono certamente i cento anni trascorsi dal Congresso di Vienna e lo scoppio della prima guerra mondiale a dirci che si sia affermata una fase di saggezza e di moderazione o di lungimiranza politica. Anzi: il contrario, considerate le strade sbagliate che gli Stati e i loro capi commisero, imboccando la strada sciagurata dell guerra del 1914: Versailles, nel 1918-1919, fu esattamente l'opposto dei patti firmati a Parigi e a Vienna tra il 1814 e il 1818. I trattati stipulati dopo la fine del primo conflitto mondiale, nella persona del presidente americano Wilson, nuovo Talleyrand, non recepirono compiutamente il principio di legittimità. Venne imposto un nuovo principio, quello delle nazioni e della libera determinazione dei popoli, in un certo senso ripescando le idee napoleoniche, se pur in chiave di dominio francese. Sorsero, dopo il 1919, alcune legittimità fittizie, gracili e litigiose. Versaille finì pertanto per produrre micidiali conseguenze, aprendo le porte a regimi illiberali. Per contenere l'espansionismo sovietico al termine della seconda guerra mondiale, Truman costruì un nuovo ordine, rinunciando al principio di rivalsa sugli Stati sconfitti, fondando il principio di legittimità su una accorta combinazione di fattori, tra cui l'integrità degli Stati (Germania a parte, sacrificata ad una lunga divisione in ossequio all'ordine dui Yalta), la democrazia, la promessa di una crescente prosperità e la prospettiva di una federazione europea. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, il mondo appare meno legittimato e più insicuro, anche per il riemergere delle antiche ambizioni degli Stati.
Casalino Pierluigi
Casalino Pierluigi