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LA GERMANIA DOPO IL 1929 NEL CONTESTO DELLA GRANDE CRISI.

Nella maggioranza dei paesi colpiti dalla crisi del 1929 la depressione portò ad un distacco dagli affari internazionali. Analogamente a Francia ed Inghilterra, anche l'America, con l'elezione di Roosevelt, divenne marcatamente isolazionista. La Germania fu un caso a sé. I tedeschi avevano conosciuto gli anni terribili dell'inflazione nel 1923 ed ora facevano la stessa esperienza preoccupante nella direzione opposta. Alla maggior parte dei tedeschi ciò parve inevitabile; ma i risultati furono sommamente impopolari. Ognuno approvava i provvedimenti quando venivano applicati agli altri, ma si ribellava quando venivano applicati a sé stesso. Il Reichstag non riuscì a trovare la maggioranza per un governo deflazionista, pur volendo proprio un siffatto governo. Il risultato fu che Bruning governò la Germania per oltre due anni senza maggioranza, imponendo la deflazione per decreto presidenziale. Uomo schietto e di elevate vedute, non volle procacciarsi popolarità mitigando i rigori della deflazione; ma il suo governo cercò la popolarità nei successi di politica estera. Curtius, ministro degli Esteri, tentò di realizzare l'unione economica con l'Austria nel 1931 - un progetto, peraltro, che non offriva alcun vantaggio economico -, e Treviranus, altro membro del governo, dette il via ad un'agitazione contro la frontiera polacca; nel 1932 Von Papen, successore di Bruning, chiese la parità degli armamenti per la Germania. Tutte queste cose non avevano alcun peso sulle difficoltà economiche, ma questo il tedesco qualunque non poteva certo capirlo: da anni, infatti, gli dicevano che i suoi guai dipendevano da Versailles, e adesso che si trovava nei guai credeva quanto gli avevano detto. Oltre a ciò, la depressione eliminava il più solido argomento a favore dell'inazione, cioè la prosperità.
Casalino Pierluigi  

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