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Dove va il mondo? Prospettive di geopolitica nell'età dell'incertezza e dell'insicurezza.

 di Casalino Pierluigi
 
Secondo gli antichi le sorti del mondo poggiavano sulle spalle di
Atlante e le ricorrenti crisi che attraversavano il globo, telluriche
e non corrispondevano ai ricorrenti segni di stanchezza del Titano nel
sopportare l'immane sforzo. Mai immagine è stata più appropriata per
il nostro mondo contemporaneo. La fine della guerra fredda e il crollo
del'ordine di Yalta ha aperto scenari imprevedibili, segnati da
crescenti incertezze e da incognite inedite sulla tenuta degli
equilibri planetari: un processo che peraltro ha preso l'avvio nella
fase storica precedente, dove molti degli elementi sviluppatisi oggi
costituiscono  il prolungamento di condizioni presenti in potenza già
all'indomani della prima guerra mondiale. Gli attori della nuova scena
internazionale si sono moltiplicati, anzi miniaturizzati, in una sorta
di frammentazione del quadro geopolitico, nonostante il permanere di
superpotenze consolidate ed affermate, in particolare di quella
americana che in un modo o nell'altro conserva un suo ruolo egemone
negli affari mondiali. Un analisi compiuta di tale situazione non è
ancora possibile per il sopravvenire di sempre più inattesi variabili
indipendenti dalla tradizionale balance of power. Di volta in volta si
cerca di riscrivere e di reinterpretare il movimento in atto, ma
regolarmente ci si confronta con sorprese che sconvolgono le tendenze
consuete della politica internazionale e degli interessi in gioco. Una
lettura adeguata degli non è ancora possibili, se pur non si può mai
prescindere dall'originario lascito etnico-ideologico che sottende le
esperienze dei popoli nuovi e antichi. Non di rado fenomeni come
quello terroristico nascono nel contesto di sotterranee correnti della
ragion di stato e riesce poi assai difficile contenerli in una
tipologia classica delle relazioni internazionali. Il manifestarsi di
connubi inquietanti tra ispirazioni anarco-antagoniste e forzature
acritiche e tragicamente caricaturali del messaggio religioso (nella
fattispecie quello islamico), che travalicano lo stesso normale
confronto delle idee. Si tratta di un cocktail di aberranti ed
inquietanti sfide alla pacifica convivenza, coltivate non di rado da
non troppo celate esigenze di stati o di gruppi di stati anche nel
segno del governo e dell'orientamento unilaterale dell'economia.
Attuale si rivela ancora la grande profezia di Alexis de Tocqueville,
che intuì quanto insormontabile sia per le nostre forze intellettive
cogliere il senso e il divenire della storia e della sicurezza della
convivenza civile. Anche lo stesso tentativo provvidenzialistico
mostra in tempi come i nostri limiti seri a circoscrivere l'andamento
degli avvenimenti nel quadro teleologico della storia. E ciò nondimeno
un filo sottile lega questi spezzoni di umanità e di arcani destini di
essi verso una meta che comunque rinchiude la vicenda umana in un
innegabile eterno ritorno. Una metafora dell'attesa che rischia di
fare il verso all' "aspettando Godot", ma che si traduce in ogni caso
in una visione internazionale che forse determina gli eventi, ma che
non li giustifica più. E qui si infrange l'ultima illusione. Ma la
ragione come la nottola di Atena continuerà infatti a levarsi quando
cala il giorno.




 

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