La questione shakespeariana

 Pierluigi Casalino

Tra le numerose questioni letterarie, non prive anche di valore storico, sorte lungo i secoli, che hanno occupato e occupano ancora le menti degli studiosi e le considerazioni della critica, ma anche la passione del pubblico e dei lettori, ve ne sono tre che restano a tutt'oggi profondamente aperte. E soprattutto si staccano sulle altre, per l'importanza complessiva dei contributi che incessantemente ne arricchiscono le bibliografie: la questione omerica, l questione dantesca e la questione shakespeariana. E, circostanza singolare, per quanto l'interesse di tali questioni non possa essere condizionata solamente dalla grandezza di quei poeti, pure, come per caso, le tre figure attorno alle quali è nato e si e sviluppato una tale quantità di discussioni storiche, biografiche, estetiche ed etiche, ideologiche, critiche e altre ancora, per cui senza fine si è disputato e si disputa ancora (e si disputerà in futuro), sono, per universale e tradizionale consenso, le più alte che l'umanità, nella sublimazione di sé stessa e dell'arte poetica, abbia fino ad ora saputo esprimere. Non con questo che le rimanenti siano da giudicarsi inferiori, ma nessuna raggiunge i vertici che queste hanno raggiunto e che continuano a raggiungere nell'esperienza di esse e nella loro rappresentazione. Se le prime due questioni sono vive da secoli, peraltro, quella relative al Grande Bardo è venuta crescendo da quasi un secolo e mezzo. Non è qui il momento di affrontare il senso della questione shakespeariana in relazione alle sue opere maggiori, che impiega già gran parte dello studio dedicato all'Autore inglese. Anche su questo punto - quello dei Sonetti - qualcuno in modo ricorrente ha voluto contestarne la paternità. Né vogliamo addentrarci sull'insidioso terreno di fantasiose congetture o spingersi verso lidi improbabili che ne rigettano il genio originale. E infatti l'unico modo di conoscenza diretta dei Sonetti è quello costituito  da un testo del 1609, dato alle stampe, vivente ancora lo stesso Shakespeare, anche a riprova che in quell'epoca era possibile pubblicare un libro senza il consenso dell'autore. Shakespeare era all'apice della carriera e della notorietà teatrale e non pare tuttavia che queste opere minori abbiano incontrato analogo favore. E ciò al punto che queste preziose antologie saranno nel tempo quasi dimenticate. la cosa rilevante resta, comunque, che salvo qualche elemento dubbio, esse sembrano veramente farina del sacco di Shakespeare. Ricche di lirismo e di fascino suggestivo ed  accattivante, pochi oggi mettono in dubbio l'autenticità di esse. Ancor meno augurabile è stato e sarebbe invischiarsi nel problema dell'ordine di esse. Cero in esse si ritrova solo in parte lo Shakespeare poeta e drammaturgo, ma non manca quello spirito creativo che attraversa l'opera omnia. si coglie in esse la risonanza dell'animo segreto di Shakespeare, la giovanile preziosa parentela con quest'ultima, se ne sente la vibrazione ed il carattere costitutivo originario. in ultima analisi quelle costanti rintracciabili nel resto dei lavori del genio di Stratford-on-Avon. In queste pagine minori si ritrovano esplorazioni e rivelazioni dell'anima dell'uomo - e poco importa se si tratti dell'uomo Shakespeare o semplicemente, come è stato scritto, dell'Uomo - In esse possiamo riconoscerci e rinnovarci.
Casalino Pierluigi, 10.02.2015