*Nota di R. Guerra: al di là del saluto/ricordo affettuoso di seguito di Vittorio Feltri, un poco troppo alla rovescia ideologico pur brillante (bellissimo il titolo però...) , con Eco scompare uno dei pochi veri intellettuali italiani capaci di captare il futuro e - a ben vedere - trascendente qualsivoglia zavorra politichese... Oltre Eco, mere contingenze certe sinergie a volte discutibili con certa già fu sinistra: Eco come ricercatore scientifico ha importato e reinventato e divulgato la nascente Linguistica dei segni e poi semiologia o semiotica.... Il solo "Apocalittici e Integrati" resta tutt'oggi una password per un futuribile nobile e virtuoso evoluto, la fine del novecento ideologico stesso tutto italiota; ulteriormente "La Struttura Assente"... già decenni fa illustrava la fine di qualsiasi riduzionismo conoscitivo e metapolitico, la complessità come nuovo scenario e mappa polare di riferimento e "navigatore" per googlare con cognizione di casa e e effetto e oltre... i territori ignoti o in riformattazione del nostro tempo. Tutta la sua opera ha consegnato al museo della televisione naturale, troppo facili persuasori occulti, liberato la nuova cultura mediatica e pop da analisi adorniane (ancora dominanti in Italia ) non banali ma inflazionistiche e ridondanti, molto altro dopo la Televisione e gli stessi cartoni animati. Feltri stesso ad esempio esagera, Eco non demolì Mike Bongiorno, al contrario lo incoronò come esempio di televisione nuova e propulsiva; un saggio di Eco sui Puffi, poi, resta memorabile, sembrava una dissertazione sulla teoria delle stringhe, pardon striscie, un universo parallelo di alieni puffi reali! Come scrittore, poi, Eco con Il Nome della Rosa e non solo, il vero vertice del Fantastico italiano e di ulteriore altitudine mondiale: altro che noirismo o fantastorico all'italiana, Eco poetico prima del grandissimo transumanista Dan Brown, dopo Calvino in Italia e non solo, Umberto Eco il vero principe fantacosmico felice, altro che imperatori veggenti nostalgici degli zar o wuminghiani autoimplosi in fantasmi. E già da domani, il nome .. Umberto Eco è il Segno della Rosa nella storia della comunicazione e della cultura rivoluzionaria contemporanea!
*fonte Il Giornale Vittorio Feltri
Eco, un intellettuale sempre organico (ma solo a se stesso)
La livella arriva per tutti e non ha risparmiato neppure Umberto Eco, morto in casa propria a 84 anni, dopo aver inanellato una serie impressionante di successi editoriali che lo hanno reso famoso nel mondo. Il suo romanzone Il nome della rosa è stato tradotto in un centinaio di lingue e ha venduto 12 milioni (14 secondo qualcuno) di copie, quante ne bastano per arricchire un autore.Se si aggiunge la diffusione notevole di altre sue opere, ad esempio Il pendolo di Foucault, si arriva a una montagna di volumi. Non vogliamo fare i conti in tasca a Eco, ma solo ricordare che egli è stato un intellettuale importante per la cultura italiana del dopoguerra. Non piaceva a chiunque lo avesse letto, ma ciò è normale.
Come sempre, anche nel suo caso era ed è la politica a dividere il pubblico tra estimatori e detrattori. Le mode culturali contribuiscono in modo decisivo ad innalzare un uomo ai vertici della considerazione popolare o a farlo sprofondare negli abissi del disprezzo. Umberto è stato bravissimo nella scelta di campo utile a portarlo sull'Olimpo. Pur essendo stato cattolico all'inizio della carriera, non ha esitato a diventare miscredente e a schierarsi a sinistra in tempi in cui i cristiani erano democristiani, cioè gentucola conformista, mentre i laici erano comunisti e quindi degni della massima stima.
Non affermiamo che Umberto sia saltato da una sponda all'altra per opportunismo. Probabilmente si è limitato a seguire la propria indole di uomo del giorno. Ma il sospetto rimane, visto che il passaggio da qui a là gli ha giovato parecchio in termini di consenso e di incasso. I laici progressisti negli ultimi 60 anni hanno goduto di grandi agevolazioni: porte aperte, buona stampa, elogi sperticati della corporazione dei cosiddetti intelligenti. Giuseppe Berto, grande scrittore che negli anni Sessanta vinse per sbaglio il Campiello con il Male oscuro, romanzo contro la psicoanalisi, fu dimenticato (e schifato) in fretta, perché genericamente di destra, ossia ostile alle ideologie correnti e di maggior presa nel periodo in cui i suoi libri erano in commercio. Quando tirò prematuramente le cuoia non fu celebrato adeguatamente. Lo stesso dicasi per Giuseppe Prezzolini, snobbato poiché conservatore dichiarato. Vabbè, niente di nuovo né di sensazionale.
Eco, a differenza di costoro, condannati al silenzio e all'oblio, seppe inserirsi nel filone giusto riuscendo a suscitare l'attenzione e l'approvazione nei contemporanei affascinati dall'eurocomunismo inventato da Luigi Berlinguer, una teoria fantasiosa eppure in grado di sedurre circa la metà della beota popolazione italiana. Fu bravo a intuire la strada da percorrere per giungere in vetta al gradimento dei cittadini sedicenti illuminati. Ciò non toglie alcun merito allo scrittore alessandrino, anzi accresce la misura della sua abilità di intellettuale (quasi) organico.
Umberto non è mai stato contestato da nessuno che avesse i titoli per farlo. Lui stesso a un certo punto confessò che Il nome della rosa, nonostante il boom delle vendite (qualcosa di straordinario) era il suo peggior romanzo. Non saprei dire se avesse ragione o torto; sta di fatto che questo era il suo pensiero, almeno quello manifestato con stupefacente franchezza (a cui sarei portato a non credere). Eco, coerentemente con le posizioni acquisite negli anni della maturità, ha collaborato con l'Espresso e la Repubblica, sui quali ha scritto articoli memorabili, che hanno immancabilmente fatto scalpore.
Egli assurse ancor giovane (relativamente) al ruolo di maître à penser, ascoltato e lodato dai compagni di ogni risma. Bisogna dargli atto che non è mai stato banale nelle sue osservazioni. Filosofo, semiologo, linguista e professore universitario, egli fu protagonista di un episodio storico. Dopo aver collaborato assiduamente con Lascia o raddoppia?, il primo programma televisivo della Rai d'antan, Umberto scrisse un saggio clamoroso in cui faceva a pezzi il conduttore della trasmissione: Mike Bongiorno. Un'impennata che rivelava appieno la personalità dello scrittore scomparso, uno che faceva e disfaceva con sorridente e irridente disinvoltura.
Ebbi anch'io con lui un garbato scontro. Io sostenni che la destra si era impoverita perché tutti gli intellettuali destrorsi, dal 25 aprile 1945 in poi, si erano trasferiti armi e bagagli nella sinistra, cambiando bandiera senza battere ciglio. Era la verità. Ma Eco mi rispose che i voltagabbana non erano tali in quanto non fascisti, bensì esponenti della destra storica. E avevano semplicemente mutato idea. La sua mi parve una stupidaggine. Ma lui era lui e io ero io. Una replica alla marchese del Grillo. Niente di serio.Vittorio Feltri
*fonte Il Giornale Vittorio Feltri
Eco, un intellettuale sempre organico (ma solo a se stesso)
La livella arriva per tutti e non ha risparmiato neppure Umberto Eco, morto in casa propria a 84 anni, dopo aver inanellato una serie impressionante di successi editoriali che lo hanno reso famoso nel mondo. Il suo romanzone Il nome della rosa è stato tradotto in un centinaio di lingue e ha venduto 12 milioni (14 secondo qualcuno) di copie, quante ne bastano per arricchire un autore.Se si aggiunge la diffusione notevole di altre sue opere, ad esempio Il pendolo di Foucault, si arriva a una montagna di volumi. Non vogliamo fare i conti in tasca a Eco, ma solo ricordare che egli è stato un intellettuale importante per la cultura italiana del dopoguerra. Non piaceva a chiunque lo avesse letto, ma ciò è normale.
Come sempre, anche nel suo caso era ed è la politica a dividere il pubblico tra estimatori e detrattori. Le mode culturali contribuiscono in modo decisivo ad innalzare un uomo ai vertici della considerazione popolare o a farlo sprofondare negli abissi del disprezzo. Umberto è stato bravissimo nella scelta di campo utile a portarlo sull'Olimpo. Pur essendo stato cattolico all'inizio della carriera, non ha esitato a diventare miscredente e a schierarsi a sinistra in tempi in cui i cristiani erano democristiani, cioè gentucola conformista, mentre i laici erano comunisti e quindi degni della massima stima.
Non affermiamo che Umberto sia saltato da una sponda all'altra per opportunismo. Probabilmente si è limitato a seguire la propria indole di uomo del giorno. Ma il sospetto rimane, visto che il passaggio da qui a là gli ha giovato parecchio in termini di consenso e di incasso. I laici progressisti negli ultimi 60 anni hanno goduto di grandi agevolazioni: porte aperte, buona stampa, elogi sperticati della corporazione dei cosiddetti intelligenti. Giuseppe Berto, grande scrittore che negli anni Sessanta vinse per sbaglio il Campiello con il Male oscuro, romanzo contro la psicoanalisi, fu dimenticato (e schifato) in fretta, perché genericamente di destra, ossia ostile alle ideologie correnti e di maggior presa nel periodo in cui i suoi libri erano in commercio. Quando tirò prematuramente le cuoia non fu celebrato adeguatamente. Lo stesso dicasi per Giuseppe Prezzolini, snobbato poiché conservatore dichiarato. Vabbè, niente di nuovo né di sensazionale.
Eco, a differenza di costoro, condannati al silenzio e all'oblio, seppe inserirsi nel filone giusto riuscendo a suscitare l'attenzione e l'approvazione nei contemporanei affascinati dall'eurocomunismo inventato da Luigi Berlinguer, una teoria fantasiosa eppure in grado di sedurre circa la metà della beota popolazione italiana. Fu bravo a intuire la strada da percorrere per giungere in vetta al gradimento dei cittadini sedicenti illuminati. Ciò non toglie alcun merito allo scrittore alessandrino, anzi accresce la misura della sua abilità di intellettuale (quasi) organico.
Umberto non è mai stato contestato da nessuno che avesse i titoli per farlo. Lui stesso a un certo punto confessò che Il nome della rosa, nonostante il boom delle vendite (qualcosa di straordinario) era il suo peggior romanzo. Non saprei dire se avesse ragione o torto; sta di fatto che questo era il suo pensiero, almeno quello manifestato con stupefacente franchezza (a cui sarei portato a non credere). Eco, coerentemente con le posizioni acquisite negli anni della maturità, ha collaborato con l'Espresso e la Repubblica, sui quali ha scritto articoli memorabili, che hanno immancabilmente fatto scalpore.
Egli assurse ancor giovane (relativamente) al ruolo di maître à penser, ascoltato e lodato dai compagni di ogni risma. Bisogna dargli atto che non è mai stato banale nelle sue osservazioni. Filosofo, semiologo, linguista e professore universitario, egli fu protagonista di un episodio storico. Dopo aver collaborato assiduamente con Lascia o raddoppia?, il primo programma televisivo della Rai d'antan, Umberto scrisse un saggio clamoroso in cui faceva a pezzi il conduttore della trasmissione: Mike Bongiorno. Un'impennata che rivelava appieno la personalità dello scrittore scomparso, uno che faceva e disfaceva con sorridente e irridente disinvoltura.
Ebbi anch'io con lui un garbato scontro. Io sostenni che la destra si era impoverita perché tutti gli intellettuali destrorsi, dal 25 aprile 1945 in poi, si erano trasferiti armi e bagagli nella sinistra, cambiando bandiera senza battere ciglio. Era la verità. Ma Eco mi rispose che i voltagabbana non erano tali in quanto non fascisti, bensì esponenti della destra storica. E avevano semplicemente mutato idea. La sua mi parve una stupidaggine. Ma lui era lui e io ero io. Una replica alla marchese del Grillo. Niente di serio.Vittorio Feltri