Prolet robot

 https://www.internazionale.it/reportage/laura-melissari/2024/08/06/intelligenza-artificiale-lavoratori-sfruttamento 

Un essere umano che guarda, analizza ed etichetta milioni di dati ogni giorno e li fornisce a quella che comunemente chiamiamo intelligenza artificiale (ia). L’intelligenza artificiale, per poter funzionare, ha bisogno di persone che la addestrino. E i suoi istruttori sono i nuovi proletari digitali. Quelli che si occupano delle mansioni più semplici, che si trovano alla base della piramide lavorativa del settore, i cui piani più alti sono occupati da analisti di dati, ingegneri o programmatori specializzati. Per insegnare all’intelligenza artificiale a riconoscere contenuti, e a crearne di nuovi, è necessario etichettare correttamente i dati, descrivere immagini, trascrivere testi, fare piccole traduzioni, identificare segnali stradali o altri elementi all’interno di immagini. I cosiddetti data labeling, gli etichettatori di dati, attraverso lavori spesso ripetitivi e alienanti, permettono l’addestramento dei software. Senza l’intervento umano, l’ia non sarebbe in grado di operare perché non saprebbe come interpretare i dati che le vengono sottoposti.

“Quello che viene venduto come intelligenza artificiale è un tipo di apprendimento automatico, significa che bisogna nutrire la macchina con miliardi di dati, e sulla base di questo la macchina impara”, spiega Antonio Casilli, professore di sociologia al Telecom, l’istituto politecnico di Parigi, in Francia. “Per poter funzionare, che si tratti di creare un piccolo filtro di TikTok o software alla ChatGpt, c’è bisogno di masse enormi di dati, che devono però essere trattati, o meglio preaddestrati”. La “P” di chatGpt, che è l’acronimo di Generative pretrained transformer, significa infatti preaddestrato.