Da: Angelo Giubileo
In “Il Politico” Platone dice che, in quanto uomini, abbiamo a che fare con due ordini diversi: l'uno divino e naturale fondato sulla verità e cioè l'incertezza e la conseguente sospensione del giudizio (epochè); l'altro politico, in cui la verità - la vera certezza, che è bene ribadirlo, è impossibile - rappresenta solo una forma di accomodamento, adaequatio, una forma di verosimiglianza logica al fatto in sé e per sé, che è destinato comunque a restare incerto. In Italia, dove maggiore è la presenza dell'ordine politico-religioso, e quindi più diffuso l’atteggiamento di chi finisce per affidarsi a un dogma religioso e/o ideale politico, ogni fatto rappresenta solo un mero pretesto per la costruzione di tesi verosimili, contrapposte, che mirano alla separazione e divisione quindi all’attuazione del principio “divide et impera!”.
In “Essere e tempo”, Martin Heidegger, il più grande filosofo del Novecento, scrive che con il termine greco “aletheia”, tradotto originariamente da lui stesso con il significato di “verità” (o, per così dire, vera certezza), deve piuttosto intendersi “la non-ascosità (Unverborgenheit) pensata come radura (Lichtung) dove si dispiega la presenza (Anwesenheit)”, che: “è dunque qualcosa di meno della verità … O è qualcosa di più, poiché soltanto essa concede la verità come adaequatio e certitudo” (ed. Guida 1998).
Come dicevamo, si tratta di due campi d’azione diversi, due aree semantiche diverse in cui il termine “verità” dovrebbe correttamente assumere significati diversi: in ambito filosofico, il significato di “vera certezza” - ripetiamo impossibile a darsi -; mentre, in ambito politico o religioso, il significato corrispondentemente di “pensiero” (opinio) o “credenza” (superstitio).
Angelo Giubileo