Da: Pierluigi Casalino
La democrazia USA vive un momento di crisi, ma la Cina e la Russia non sono i nuovi modelli di riferimento. Gli Stati Uniti vivono una doppia caduta di credibilità, politica e di immagine (dalla quale stanno ora progressivamente uscendo), che governi come Russia e Cina vogliono trasformare in propaganda per avvalorare una propria leadership globale a cui solo gli stolti potrebbero affidarsi. I fatti di Capitol Hill hanno fatto, è vero, traballare gli equilibri mondiali. L'autoproclamata più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d'America, vive una crisi d'immagine che in realtà non nasce dal tentato colpo di stato del gennaio 2021, ma che è frutto di un percorso che va avanti da anni e che in quei disordini ha trovato la sua massima espressione. Un presidente che durante tutto il suo mandato ha attaccato lo stato di diritto e ha svilito le istituzioni e che ora è stato bloccato su tutti i social per la violenza dei suoi messaggi è la migliore fotografia dello stato in cui versa la democrazia americana. Il modello Usa, quello studiato sui libri di storia ed esportato all'estero, si sta rivelando molto meno modello di quanto si pensava e questo apre un vuoto importante nella geopolitica mondiale. Chi oggi si sta insinuando in questa voragine è però una versione ancora più brutta di quella democrazia, a riprova di come il futuro del pianeta rischi di essere all'insegna di un'emergenza autoritaria.
Chi più di tutti ha fatto la voce grossa sulle macerie di Capitol Hill nelle scorse ore sono stati la Cina e la Russia. Due delle principali potenze mondiali, che contendono l'egemonia globale proprio agli Stati Uniti e che non aspettavano altro che una sua crisi per poter imbastire la loro propaganda su di essa. "La democrazia americana zoppica su entrambi i piedi", ha scritto il presidente del Consiglio federale sugli affari esteri russo Konstantin Kosachyov, mentre Dmitry Polyanskiy, vice ambasciatore russo alle Nazioni Unite, ha paragonato i disordini di Washington alla rivoluzione arancione in Ucraina nel 2014. In Cina si sono invece lanciati in improbabili comparazioni tra i riottosi estremisti di Capitol Hill e i rivoluzionari pro democrazia di Hong Kong, denunciando l'ipocrisia di una politica americana che elogia i secondi e reprime i primi.
Il rispettivo parallelo fatto da Russia e Cina tra il tentato colpo di stato americano e i fatti di Ucraina e Hong Kong dimostrano come l'emergenza democratica sia un fatto globale prima ancora che statunitense. Le rivolte nella città-stato e la rivoluzione arancione sono stati moti per la democrazia, soppressi con violenza dalle autorità e dagli eserciti perché si mantenesse uno status quo all'insegna dell'autoritarismo. L'opposto di quanto avvenuto negli Stati Uniti, dove i disordini traevano origine dalla volontà di sovvertire lo stato di diritto e la loro soppressione è stata volta a mantenere viva la (seppur zoppa) democrazia. Se il problema statunitense sta dunque sul terreno socio-politico traballante su cui poggia i piedi, con fette di popolazione, parlamentari e un ormai ex presidente che vogliono tagliare le gambe a una democrazia che funziona solo a metà ma che prova a resistere, in Cina e in Russia avviene esattamente l'opposto, l'autoritarismo lotta per non farsi cancellare dalle sollevazioni democratiche. Il risultato è che la situazione è pessima in entrambi i casi, ma chi si offre come alternativa al declino democratico americano non è un altro che una versione più pericolosa dello stesso. Anche altri paesi più vicini alla dittatura che alla democrazia hanno espresso preoccupazione per i fatti di Capitol Hill, ergendosi d'improvviso ad alternativa al declino dello stato di diritto americano. È il caso del Venezuela di Nicolás Maduro, dell'Iran di Hassan Rouhani o della Turchia di Recep Erdoğan, scuole di autoritarismo che in un festival dell'ipocrisia hanno mosso accuse sulla carta anche giuste su quanto stesse succedendo aWashington e dintorni, dimenticandosi però di cosa accade nel proprio cortile di casa. La crisi dell'America ha permesso a dittature più o meno velate del mondo di puntare il dito contro il sofferente modello di democrazia occidentale, non offrendo un modello più puro della stessa, a base di lotta alle disuguaglianze, equilibrio tra le istituzioni, tutela dei diritti di tutti e via dicendo, ma sistemi ancora più estremi dove tutte le criticità statunitensi e occidentali sono portate alle estreme conseguenze. Il futuro che si delinea è allora tutto tranne che roseo. Il disordine americano ha aperto gli occhi su un modello di democrazia che non era poi così tale, ma l'alternativa con cui si rischia di riempire quel vuoto viene dalle ascendenti potenze autoritarie come la Cina. La soluzione non sta da alcuna delle due parti, ma in una terza via più pura alla democrazia e allo stato di diritto, che probabilmente nessuno più dell'Unione Europea può incarnare per quelli che sono i suoi principi fondanti. Anche qui, tra la malagestione delle politiche migratorie e gli attacchi allo stato di diritto di nazioni come l'Ungheria e la Polonia, la situazione non è però delle migliori e occorre correggere il tiro. Così da non cadere nello stesso baratro americano e aprire un nuovo squarcio democratico su cui le dittature del mondo sono pronte a festeggiare. Le stesse critiche al G7 mosse da Pechino, pur non essendo per nulla credibili, rientrano in questa prospettiva dispotica globale, dalla quale le vecchie democrazie devono difendersi.
Casalino Pierluigi