Il profitto è il vero limite a una finanza più responsabile?



Da: Newsletter Financecommunity.it 
 


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Newsletter N° 224 del 29 gennaio 2020

Il profitto è il vero limite a una finanza più responsabile?


di laura morelli 

 
Sostenibilità ambientale e di corporate governance, inclusione, senso sociale. Negli ultimi anni il mondo della finanza è stato richiamato da più parti - dalla politica, dalla società civile e dai massimi esponenti della finanza stessa - a operare con più responsabilità. In pratica ciò che viene chiesto è che le banche, gli asset manager, i private equity, i consulenti e tutti gli altri player del settore smettano di agire seguendo e inseguendo obiettivi che restano circoscritti nel settore, ad esempio il puro e semplice guadagno, ma deve iniziare considerare seriamente il contesto in cui opera. E per contesto si intende il tessuto imprenditoriale, il mercato del lavoro, l'ambiente, la diversità. 

Le ormai famose lettere del ceo di BlackRock, Larry Fink, racchiudono esattamente questi concetti. Nell'ultima, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, il ceo dell'asset manager più grande del mondo pone l'attenzione sulla potenza distruptive dei cambiamenti climatici e di come questi influenzeranno molteplici aspetti della nostra vita e quindi anche della finanza, dal mondo assicurativo a quello dei finanziamenti.

La domanda che però tutti dovremmo farci è: all'atto pratico, come si declina questa responsabilità che tutti hanno iniziato a pretendere dalla finanza? E sopratutto quanto il profitto - o il non profitto - può rappresentare un limite nell'applicazione di questa responsabilità?

Un esponente di rilievo del settore, il ceo di Goldman Sachs David Solomon, in un'intervista della Cnbc della scorsa settimana a margine del forum di Davos ha ribadito questo concetto. "Tutti abbiamo una responsabilità, nel contesto delle piattaforme e dei business in cui lavoriamo, di servire bene i nostri stakeholders", ha detto. Solomon ha anche anticipato una policy che la banca adotterà e che può essere un esempio concreto di questa responsabilità: a partire da luglio prossimo in Us e in Europa, ha spiegato il ceo, la banca non lavorerà ad Ipo di aziende che non abbiano almeno un consigliere di amministrazione donna o un elemento di diversità nel board. Nel 2021 le donne dovranno essere almeno due, altrimenti niente consulenza e network della prestigiosa banca d'affari. "È un piccolo passo ma va in una direzione che secondo noi è quella giusta". Poi aggiunge: "We might lose some business, potremmo perdere del lavoro, ma nel lungo temine questo è il miglior consiglio che possiamo dare alle aziende che vogliono realizzare nel tempo dei super ritorni per i loro azionisti". 

Il driver principale, in fin dei conti, è sempre il profitto. È la natura stessa della finanza, la sua ragion d'essere. "La nostra prima responsabilità è servire i nostri azionisti, dare loro ritorni a lungo termine" che per Solomun "sono strettamente legati all'interesse e al bene di tutti gli stakeholders". Ma quando invece i profitti non sono legati al bene di tutti gli stakeholders? Se investire in aziende green o sostenibili a livello di governance non conviene, le banche e tutti gli altri player del settore lo faranno lo stesso? 

In che misura, dunque, il profitto è un limite a questa responsabilità che si addossa e si richiede a gran voce al mondo della finanza? e che, a volersi attenere ai fatti nudi e crudi, non è concretamente tenuto ad averla in quanto settore produttivo composto da soggetti privati che agiscono secondo il loro (sacrosanto?) interesse? 

È una domanda a cui prima o poi dovremmo rispondere per capire se davvero stiamo vivendo una rivoluzione finanziaria e sociale o se invece alcune logiche insite in certi elementi del business e della società sono destinati a perpetuarsi e a sopravvivere a tutto, anche alla fine del mondo provocata dai cambiamenti climatici.
 

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