Le stanze delle maschere e del nulla in Pirandello

 

di Pierfranco Bruni

Maria Zambrano ci ha insegnato che bisogna abitarsi per viversi e comprendersi. Abitandosi si prende consapevolezza del tempo.
La letteratura è una griglia in cui le ragnatele delle parole diventano linguaggio. Siamo esistenza e siamo parole. Come le parole non fossero parte integrante dell'esistenza.
Pirandello e Ionesco si pongono delle domande che sono un gioco inequivocabile tra la vita e il tempo.
Le apparenze sono più delle emozioni? Spesso vogliamo apparire, rappresentarci, dare un'immagine diversa da quella che vive dentro di noi.
A volte ci riusciamo. Spesso cerchiamo di nascondere le emozioni e recitare con l'anima che vorremmo che non fosse in noi. Quasi mai si riesce in ciò.
Le emozioni sono più delle apparenze? Siamo nel cerchio labirintico di diventare uno e poi centomila per restare alla fine nessuno.
Un equilibrio che diventa intreccio in una letteratura che non avrebbe senso se mancasse la realtà e l'antologia della vita. L'assurdo non è l'ambiguo.
Come la maschera non può essere il doppio e neppure il nascondimento. Piuttosto è il senso della solitudine che precipita in una endemica distanza tra l'io e l'altro da sé.
In Pirandello l'assurdo è piuttosto la notte che chiede al buio di permettere di vivere un chiarore.
In Pirandello il duello tra il tragico e il dolore assume la dimensione del drammatico. Il dramma c'e' sempre.
Pirandello in fondo fa della sua scrittura un dialogante sottosuolo nel quale convivono la nobiltà e la miseria. Come in Eduardo De Filippo.
A salvare Pirandello non saranno le parole. Ma i luoghi. I viaggi e i ritorni. L'isola diventa un immaginario reale e il continente una realtà immagine. Vive di stanze nelle quale si depositano le maschere e il nulla.
Le stanze delle maschere costituiscono il vero senso della danza onirica. Ma con Pirandello si penetra la metafora errante del ceto viaggio.
Proprio questo viaggio va abitato.