Il personaggio di Fedra viene riproposto in maniera ricorrente nella storia del teatro, recuperando dal mito le sue suggestioni e le sue passioni. La "Fedra" di Racine occupa uno spazio particolare nella ricostruzione della tragedia. Racine rappresenta il dramma "erotico" di una famiglia, di un'intera famiglia, da Pasifae ad Arianna, a Fedra, che sopporta l'odio e la persecuzione di Venere: una famiglia che diventa bersaglio e preda della dea dell'amore. Dopo Medea e Didone, mai Eros ci era apparso in una luce così spaventosa, tenebrosa, dirompente e lacerante. Il destino di Fedra è quello di una figlia del sole che cade vittima della notte e dei suoi orditi inquietanti ed arcani. Il suo amore per Ippolito è una fiamma, che invece di splendere e di essere attratta dal sole in modo trionfale, viene respinta fino ad innalzarsi nera ed atroce, demoniaca. Odiando in essa la luce, anzi tutte le luci, da segno di chiara speranza si trasforma in delirante oscurità. Fedra ricalca il mito della luce e dell'oscurità che sono egualmente nel cuore dell'uomo. Fedra odia e fugge in essa anche la luce del giorno: conosce la malattia, la follia, la dissociazione più sfrenata, una divisione dell'io senza precedenti, la vergogna, la desolazione, la morte dell'amore. La storia di Fedra è la storia di una colpa presunta, la colpa di un amore proibito, che si muta in tabù, una lotta che si caratterizza come rivolta contro il divieto sociale e le assurde convinzioni e proibizioni morali: una colpa che non può essere solo perdonata, ma nemmeno ammessa, pronunciata. Tutta la vicenda, oggetto della tragedia fin dalla sua origine leggendaria e teatrale è, in termini di linguaggio, la descrizione del lento, faticoso, mortale, infine inarrestabile parabola di questa parola interdetta, di questa impronunciabile colpa, verso lo scandalo catartico e la rovina liberatoria della pronuncia. In questa rappresentazione straordinaria riesce magistralmente Racine più ancora di altri autori.
Casalino Pierluigi, 24.03.2015