La depressione ti fa sentire come se fossi in un tunnel buio, senza via d’uscita, e la cosa peggiore è che chi ti sta intorno non capisce, confondendo la depressione con una semplice tristezza passeggera». Sono parole del mio amico Vittorio Sgarbi, che pur nella depressione che sta vivendo non ha perso l’esattezza nel descrivere non solo la propria condizione, ma quella di chi davvero soffre di depressione.
Ci conosciamo da trentacinque anni, e a lui devo il mio esordio letterario, quando gli scrissi una lettera (non c’erano ancora le mail) perché l’editore aveva paura di pubblicare il mio primo scandaloso romanzo senza una prefazione autorevole, e Sgarbi senza conoscermi mi telefonò, dandomi un appuntamento alle due del mattino all’Hotel Majestic, dove all’epoca risiedeva. Grazie alla sua prefazione, generosissima verso uno scrittore esordiente e sconosciuto, il romanzo uscì, e non mancò mai di difenderlo da tutti gli attacchi. Non ci siamo mai frequentati più di tanto, più che altro sentiti al telefono, spesso in orari improbabili: Vittorio ti chiama quando gli altri dormono, ha sempre avuto un fuso orario suo.
Mi colpisce molto sentirlo depresso, ma anche descrivere la depressione come solo lui poteva fare, con parole precise. «La depressione è un treno fermo in un luogo ignoto».