Il nome di Israele
La storia umana è un rimescolamento di concetti, espressioni in generale del limite (e in particolare dei limiti) che ci contraddistingue come specie.
Innanzitutto il limite medesimo, che attiene alla nostra condizione umana, non va confuso con lo spazio del senza-limite (apeiron) di cui parla Anassimandro nel suo detto. Viceversa sarebbe come dire che lo spazio senza-limite dell'essere andrebbe confuso con lo spazio-limite dell'ente, e in tal caso l'uomo.
Codesto modo errato d'intendere le cose, tutte le cose, costituisce il presupposto di ogni fondamentalismo o totalitarismo.
L'esperienza storica attuale dimostra ancora che la tradizione israelita conserva o meglio man-tiene, nel senso heideggeriano del termine, il significato essenziale del limite di cui detto. A differenza anche della tradizione cristiana, che viceversa modella il significato più profondo della condizione umana sul "Verbo originario che si è fatto carne".
Nell'attualità, l'Apparato scientifico-tecnologico - di cui parlava Smizer nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, così come allo stesso modo anticipato dalla cultura e pratica nazista di inizio secolo - svela l'inganno di ogni fondamentalismo ma non mira a ricondurre l'uomo sui "sentieri interrotti" dell'essere, "ché la dritta via è smarrita".
E questo è ciò che accade esattamente oggi nell'interpretazione della realtà mediante rivendicazioni fondamentaliste che pre-dicono la "conquista di uno spazio ultroneo", l'ennesima "guerra di civiltà" tra occidente e oriente, e infine un "ambientalismo progressista" - per niente nuovo, ma di cui ci si serve per mantenere quella condizione di schiavitù umana legata alla "custodia e coltivazione" dello spazio abitato, e da abitare.
Ma, non è così per la storia e la cultura di Israele; che continua a conservare e praticare la verità e la libertà della propria condizione, identitaria, umana ed essenziale del limite. Ovvero la condizione di chi, come Giacobbe, "ha lottato contro Dio e contro gli uomini e ha vinto", assumendo in definitiva il nome di Israele. Giacobbe non agisce in uno spazio senza-limite, egli piuttosto rivendica pienamente la propria condizione, umana e limitata, senza alcun timore, ed è questa la differenza. Senza alcun timore, né nei confronti degli uomini né nei confronti di Dio, ovvero l'ignoto o l'"enigma dell'essere" che, come evidenzia Heidegger, "nella sua stessa essenza, mantiene l'essenza dell'uomo".
Il romano Lucrezio, interprete di Democrito, scriveva che: "Tempo già fu che tristemente in terra languia la vita dei mortali, oppressa da religioso orror; dall'alto cielo sugli uomini incombea, con minaccioso volto, de' numi il pauroso inganno; allor che primo un uom di greca stirpe li occhi mortali sollevar contr'esso osò, fissarlo osò. Né l'ampia fama del divino poter, né la scagliata folgor, né il cupo mormorar del cielo, valse a domarlo; ma di più vivace impeto in cor gli suscitò la brama d'infranger, primo, le sbarrate porte del cielo, drizzando all'universo il volo. E sua viva virtù vinse".
Rimescolando i concetti e le storie, quell'uomo greco non fu però certo il primo. Credo che neanche Giacobbe lo fu, ma l'essere ancora oggi mantiene piuttosto questa tradizione.
Angelo Giubileo
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Roberto Guerra