Da: Pierluigi Casalino
Clemente V, eletto dal conclave di Perugia del 1304-1305, non era né italiano né cardinale. Con lui iniziò la "cattività avignonese" dei pontefici, che durerà fino al 1377; egli soppresse inoltre l'Ordine dei Templari. Dante nulla gli perdona e lo bolla di infamia, accusandolo di aver tradito l'imperatore con l'inganno, lo taccia di doppiezza e lo condanna nel finale del XXXII Canto del Purgatorio. L'accusa era di aver promosso e consumato un amplesso carnale della Chiesa con il potere di Filippo il Bello. L'esortazione a tornare a Roma della Curia e a cancellare la vergogna guascone (Clemente V era infatti originario della Guascogna), si legge gia' nell'epistola di Dante ai cardinali italiani (anche se sarà grazie alle richieste reiterate di Santa Caterina da Siena che il nuovo Pontefice fara' ritorno nella sede romana) . Il testo della lettera dantesca, scritta in un latino difficile e piuttosto oscuro, vergato quando a Carpentras nel 1314 iniziava il conclave per eleggere il successore di Clemente V, racchiude tutta la violenta polemica del Sommo Poeta contro l'ingordigia della gerarchia ecclesiastica: Dante si appella, nella circostanza, ai cardinali italiani perché non ripetano gli errori del precedente conclave. Dante era non solo informato in dettaglio sulle vicende che provocarono i conflitti al vertice della Chiesa nei primi quindici anni del XIV secolo, da Bonifacio VIII, ma conosceva pure presupposti, retroscena, inimicizie e inganni dei cardinali. Di almeno uno di essi, Napoleone Orsini, principale destinatario della Lettera, Dante aveva raccolto le confidenze, probabilmente quando erano entrambi presenti in Toscana, legati agli stessi ambienti di fuorusciti e impegnati in forme diverse ( e senza successo) contro il governo nero di Firenze.
Casalino Pierluigi