Da: Newsletter Financecommunity.it
Cosa resterà di questa moda green...
di laura morelli
Adottare politiche d'investimento sostenibili non è solo una scelta etica o un tema legato all'eventuale profitto generabile nel lungo periodo. È una questione di sopravvivenza. Il messaggio lanciato al Forum di Davos dalla Banca dei regolamenti internazionali, l'istituzione che supporta le banche centrali mondiali e il Financial Stability board, è chiaro: il climate change causerà la prossima crisi finanziaria. E potrebbe essere la peggiore mai vissuta finora.
L'istituzione la mette giù pesante, insomma, probabilmente per stimolare qualche reazione facendo leva anche sulla "paura". Sarà forse questa la spinta necessaria affinché tutti gli operatori del mondo finanziario ripensino il loro lavoro in chiave green? Forse, ma è ancora presto per dirlo.
Certo è che da qualche anno banche, fondi e sgr stanno facendo la gara a chi è più verde. E così ecco Intesa Sanpaolo che stanzia 50 miliardi a sostegno degli investimenti in green economy, green loans che fioccano da ogni dove, lettere e proclami come quella di Larry Fink, il ceo del fondo d'investimento più grande al mondo (con oltre 7 trilioni di dollari di asset), BlackRock. Puntuale come solo lui sa essere, in una lettera agli altri ceo, Fink ha annunciato che la sua società prenderà decisioni d'investimento il cui fine ultimo sarà solo la sostenibilità ambientale.
Fink sostiene che il climate change obbligherà (e sta obbligando) gli investitori a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna. E ci arriva ponendosi degli interrogativi legittimi: cosa succederà ad esempio ai mutui a 30 anni se chi li eroga non è in grado di stimare l'impatto del rischio climatico su questo lungo arco di tempo? Dove arriverà l'inflazione, e di conseguenza i tassi d'interesse, se il costo del cibo dovesse aumentare a causa di siccità e inondazioni? Si chiede: Come possiamo costruire una crescita economica se la produttività dei mercati emergenti dovesse diminuire a causa di temperature estreme o di altri impatti climatici? Alla base sta la considerazione che la crisi ambientale sarà molto più lunga e avrà un impatto ben più pesante - in molteplici aspetti della nostra vita e quindi della finanza - delle precedenti crisi.
Le parole - sacrosante - di Fink riflettono dunque lo spirito del tempo. Ma il punto è un altro e potremmo riassumerlo con questa domanda: Cosa resta di questo impegno verso l'ambiente al netto dei proclami e dell'effetto moda del momento?
Un report di Hsbc dello scorso anno indica che nonostante il 94% degli investitori consideri le emissioni green e sociali importanti, solo il 20% è disposto ad accettare un ritorno più basso, cosa che sta accadendo per esempio ai green bond. Per citare due casi: l'andamento del Bloomberg Barclays Euro Green Bond Index ha mostrato un ritorno del 18% fino al 2014 per poi abbassarsi di anno in anno fino al 9% di oggi; il green bond del governo francese, emesso nel gennaio 2017, fu prezzato al momento del lancio con un rendimento di 13 punti base sopra gli Oat francesi di eguale scadenza per arrivare oggi a offrire uno yield uguale agli stessi titoli di stato. Stano al report, ben oltre la metà (61%) degli investitori ritiene poi che ci siano ostacoli nell'investire green perché mancano opportunità interessanti (26%) o informazioni e criteri chiari su ciò che effettivamente sia Esg (26%). E ancora, in Italia, BVA Doxa e il Forum per la Finanza Sostenibile hanno rilevato che solo il 13% degli italiani investono in prodotti finanziari sostenibili e responsabili, soprattutto a causa dell'assenza di informazioni.
È chiaro che la svolta green deve riguardare prima la testa e poi il portafoglio. Senza un ripensamento culturale profondo, il "green" rischia di essere solo una moda.
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