Riccardo Campa: intervista su lavoro e robot




fonte  Opinione Pubblica  di M. Greco


ESTRATTO


La situazione economica disastrosa, con milioni di disoccupati e un giovane su due senza lavoro né speranze, cozza col continuo progresso della tecnologia, sopratutto nel campo della robotica. Alcuni guardano a questi successi come a una speranza per il futuro, mentre in molti altri cresce la paura che queste innovazioni possano solo peggiorare la situazione delle classi meno abbienti.

Per capirne di più, abbiamo posto alcune domande a Riccardo Campa, sociologo, nonché fondatore e presidente onorario dei transumanisti italiani.

1) Cosa si intende per disoccupazione tecnologica? Si tratta di un fenomeno nuovo, oppure già nel passato sì è presentata? Se sì, quali sono state le soluzioni proposte, al di là della sterile opposizione fra liberisti tecnologici e neoluddisti?

Di disoccupazione tecnologica si parla almeno dall’inizio della rivoluzione industriale, quando le macchine hanno iniziato a sostituire i lavoratori nelle manifatture, provocando la nota rivolta dei Luddisti. Il fenomeno è stato negato sul piano teorico dall’economia politica classica, sulla base della cosiddetta teoria della compensazione, che – per dirla in parole semplici – voleva i posti di lavoro persi in un settore dell’economia ricreati in altri settori. In effetti, questa “migrazione” è stata storicamente osservata, ma non è stata né immediata né indolore.

Nella terza edizione dei Principles of Political Economy, David Ricardo ha finalmente introdotto il concetto di disoccupazione tecnologica nella teoria economica, ricevendo il plauso di Karl Marx.

Va comunque detto che si tratta di un concetto ancora controverso. La teoria marginalista lo nega, sostenendo che in ultima istanza la vera causa della disoccupazione non è la tecnologia, ma la scarsa flessibilità del mercato del lavoro e dei salari. In altre parole, i disoccupati non trovano lavoro perché sono pigri o “choosy”, per usare un termine inglese reso popolare da Elsa Fornero, oppure perché costano troppo al datore di lavoro.

I keynesiani dissentono da questa visione, sostenendo che i salari non possono comunque scendere sotto una certa soglia, perché devono garantire almeno la sopravvivenza biologica dei lavoratori e delle loro famiglie. Pertanto, la disoccupazione tecnologica esiste.

Nei periodi in cui il problema è stato riconosciuto, la politica lo ha contrastato riducendo per legge l’orario di lavoro, introducendo le ferie pagate e le pensioni, avviando lavori pubblici e affidando appalti ad aziende private, creando posti di lavoro nel settore pubblico, riducendo l’analfabetismo e rieducando i cittadini. Il trend si è invertito quando il neoliberismo è tornato a essere il paradigma dominante.


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Il neoliberismo, tramite la robotizzazione, toglierà lavoro a molte persone. Occorre un nuovo socialismo, che integri sviluppo e politiche sociali