Intanto, l’artigliata del critico non è più un’unicità. Sui social ci si artiglia ogni minuto e su ogni argomento, dal Papa alla dozzina dello Strega, e sono lontani gli anni in cui il recensore affondava la lama suscitando ammirazione per l’arguzia e il coraggio (e, certo, non pochi risentimenti duri a morire). Abbiamo fatto il callo, siamo stroncati su tutto in ogni momento della nostra vita online, che vuoi che sia una recensione negativa? Acqua fresca, rispetto agli odiatori quotidiani.
Ma il discorso vale anche all’inverso, ovvero per le recensioni positive. Chi scrive romanzi le desidera, ma certo: solo che, questa è la sensazione, desidera non una lettura critica del testo dove, pur dandone un giudizio positivo, chi recensisce ne evidenzi i punti deboli, che esistono in ogni libro. Semmai, oggi si desidera l’equivalente di una storia su Instagram con molti cuori, si pretende un osanna, una resa, un grido di esultanza, un like all’ennesima potenza. E questo non è utile. Non è utile per vendere, intanto: un po’ perché non si vende comunque, un po’ perché, assediati come siamo dalle informazioni, non ci rendiamo conto che anche il giubilo critico si perde come lacrime nella pioggia, e probabilmente funziona poco come veicolo per la vendita di un libro. Può essere una carezza per la propria comprensibile vanità (chi non gioisce quando si parla con ammirazione di quanto ha scritto?), ma è pericoloso: soprattutto per la scrittura.
La sensazione è che nella dicotomia generata dai social e tremendamente amplificata dai cigni neri di questi cinque anni non ci sia spazio per interloquire:
Nota Autore Blog-Certamente un grave problema l'ipotesi di partenza, che certifica certo andazzo, invero, comprensibile. Da anni editori e anche scrittori discutibili conformisti e spesso wokisti, quindi, l'uguale a zero non un mistero..