Casalino Pierluigi
C'è stato indubbiamente un Sessantotto buono o forse non c'è mai stato, se non nelle buone intenzioni: e si sa che delle buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno. Si deve dunque concludere che c'è stato solo un Sessantotto cattivo? Mi sa di si, allora. Se ne parla e si fa riferimento alla devastazione n° 2, dopo quella sessantottina detta devastazione n°1. Quelli che sono stati chiamati "gli anni formidabili", dunque, tanto formidabili non sono stati, avendo generato mostri più grandi delle belle intuizioni della contestazione, una contestazione che in sé non sarebbe stata, né è mai in sé negativa. Nel suo veritiero e feroce "Suicidio francese" (ma di suicidio si può anche dire "italiano" ed "europeo", l'autore transalpino E'ric Zemmour sostiene apertis verbis che è stato proprio il Sessantotto a coccolare e vizii are i nemici di quella che Popper definiva "la società aperta". Ai giorni nostri gli ex protagonisti di quegli anni detti "formidabili" (assai acriticamente) sono annidati nelle redazioni dei giornali, nei parlamenti, nei talk-show, nei consigli d'amministrazione, nelle istituzioni internazionali che tengono aperte, anzi spalancate, le porte "scee"del fanatismo, delle correnti dei partigiani delle teocrazie oscurantiste, del nihilismo salottiero e poi, inevitabilmente, "armato" (di ieri e di oggi). Un atto d'accusa, quello di Zemmour, che è condiviso anche da illustri intellettuali musulmani (come Jelloun) che pongono l'accento sul male che il virus dell'islamismo radicale produce soprattutto nelle loro società. L'Islam sarà anche una religione di pace, ma a qualcuno conviene che sia di guerra, anzi vuole che sia di guerra, perché la malattia antagonista prosegua nella sua devastazione. Quarant'anni fa quando gli ayatollah presero il potere a Teheran, questi futuri pacifisti ritenevano che l'Islam sciita (e in genere quello combattente), d'intesa spesso con le occulte regie della geopolitica (e a quei tempi c'era la "guerra fredda, mentre oggi il gioco è ancor più complesso), fosse un Islam rivoluzionario, magari un po' bacchettona, ma non più di tanto o al pari al massimo di un maoismo che stava comunque declinando e convertendosi nell'aspirazione di potenza del Drago post-comunista di Dengxiaoping). Un calcolo sbagliato che ha portato ai talebani, ad Alqaeda e all'Isis, con la complicità delle centrali della Conferenza Islamica Mondiale di osservanza wahhabita o saudita, in guerra con la chiesa shiita iraniana. Il potere sulla canna del fucile venne celebrato e viene celebrato su questi principi, per dirla in breve. Komeyini, degno erede di Lenin, ma di un Lenin oleografico. E in tal modo i nostri intellettuali, come femminucce affascinate dalla forza bruta, tifavano per i pasdaran e ora, segretamente, per i nuovi rivoluzionari, andando spesso a rinfoltirne le file conversioni opportunistiche. Da più di un secolo, per finirla, l'Occidente (in particolare l'Europa9 è occupato da un esercito nemico che regala maestri "rigeneratori", cioè cattivi maestri, nel nome di un autolesionismo folle. Sine qua non.
C'è stato indubbiamente un Sessantotto buono o forse non c'è mai stato, se non nelle buone intenzioni: e si sa che delle buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno. Si deve dunque concludere che c'è stato solo un Sessantotto cattivo? Mi sa di si, allora. Se ne parla e si fa riferimento alla devastazione n° 2, dopo quella sessantottina detta devastazione n°1. Quelli che sono stati chiamati "gli anni formidabili", dunque, tanto formidabili non sono stati, avendo generato mostri più grandi delle belle intuizioni della contestazione, una contestazione che in sé non sarebbe stata, né è mai in sé negativa. Nel suo veritiero e feroce "Suicidio francese" (ma di suicidio si può anche dire "italiano" ed "europeo", l'autore transalpino E'ric Zemmour sostiene apertis verbis che è stato proprio il Sessantotto a coccolare e vizii are i nemici di quella che Popper definiva "la società aperta". Ai giorni nostri gli ex protagonisti di quegli anni detti "formidabili" (assai acriticamente) sono annidati nelle redazioni dei giornali, nei parlamenti, nei talk-show, nei consigli d'amministrazione, nelle istituzioni internazionali che tengono aperte, anzi spalancate, le porte "scee"del fanatismo, delle correnti dei partigiani delle teocrazie oscurantiste, del nihilismo salottiero e poi, inevitabilmente, "armato" (di ieri e di oggi). Un atto d'accusa, quello di Zemmour, che è condiviso anche da illustri intellettuali musulmani (come Jelloun) che pongono l'accento sul male che il virus dell'islamismo radicale produce soprattutto nelle loro società. L'Islam sarà anche una religione di pace, ma a qualcuno conviene che sia di guerra, anzi vuole che sia di guerra, perché la malattia antagonista prosegua nella sua devastazione. Quarant'anni fa quando gli ayatollah presero il potere a Teheran, questi futuri pacifisti ritenevano che l'Islam sciita (e in genere quello combattente), d'intesa spesso con le occulte regie della geopolitica (e a quei tempi c'era la "guerra fredda, mentre oggi il gioco è ancor più complesso), fosse un Islam rivoluzionario, magari un po' bacchettona, ma non più di tanto o al pari al massimo di un maoismo che stava comunque declinando e convertendosi nell'aspirazione di potenza del Drago post-comunista di Dengxiaoping). Un calcolo sbagliato che ha portato ai talebani, ad Alqaeda e all'Isis, con la complicità delle centrali della Conferenza Islamica Mondiale di osservanza wahhabita o saudita, in guerra con la chiesa shiita iraniana. Il potere sulla canna del fucile venne celebrato e viene celebrato su questi principi, per dirla in breve. Komeyini, degno erede di Lenin, ma di un Lenin oleografico. E in tal modo i nostri intellettuali, come femminucce affascinate dalla forza bruta, tifavano per i pasdaran e ora, segretamente, per i nuovi rivoluzionari, andando spesso a rinfoltirne le file conversioni opportunistiche. Da più di un secolo, per finirla, l'Occidente (in particolare l'Europa9 è occupato da un esercito nemico che regala maestri "rigeneratori", cioè cattivi maestri, nel nome di un autolesionismo folle. Sine qua non.