Mi ha stupito leggere l'articolo "Le ecoballe della bioagricoltura" di Riccardo Cascioli, tratto da Il Giornale. Cosa c'entrano tali riflessioni con la "nuova oggettività" alla quale in questo sito si dice di aspirare? Certo, l'"oggettività" impone di registrare tutto, ma poi si deve trarre dall'analisi una sintesi capace di orientare. Lo scritto in questione nega ogni valore all'ambientalismo e all'ecologia, basandosi implicitamente sul presupposto che il sistema sviluppista ed evoluzionista nel quale stiamo vivendo sia l'unico giusto e possibile e che solo esso sia capace di portare l'uomo – ridotto alla mera identificazione nel corpo fisico e nella mente dicotomica – verso il soddisfacimento di tutti i propri bisogni. Secondo chi scrive, ci si trova di fronte all'ennesimo esempio di hybris caratterizzante il mondo moderno, per il quale tutto ciò che è "natura" non si riduce ad altro che a oggetto di asservimento e di sfruttamento. Non vale se poi i risultati disperanti di simile visione sono sotto gli occhi di tutti; l'importante è affermare la supremazia di un uomo monco – che in quanto "monco" non è che bruto tra i bruti –, portando infelicità al pianeta intero, umani compresi.
Se con il termine tradizione intendiamo la trasmissione di valori immutabili, connaturati all'ente umano, consapevole di Essere, non vi è niente di tradizionale nell'articolo di Cascioli. Secondo la tradizione, infatti, l'umanità sta regredendo e decandendo viepiù, non migliorando. Se proprio vogliamo parlare di un "miglioramento" dobbiamo concepirlo nel senso di una sempre maggiore presa di coscienza dell'oscurità e della pochezza (scaturenti da un'ignoranza o mancanza principiale) che ci attanagliano e non già nel fatto, puramente relativo, che l'uomo stia materialmente evolvendo; in altre parole, è la presa di coscienza della pochezza che ci ammorba a suscitare in noi l'aspirazione alla Conoscenza, al Sublime, al Sacro, a Dio o che dir si voglia.
Se non ci rendiamo conto di essere malati, come potremo mai guarire? Coprendo con una patina di superficiale ottimismo la marcescenza di cui siamo infetti, aggiungeremo marcio al marcio, avviandoci verso il più completo annichilimento. Di ciò ci hanno parlato ad abundantiam Evola, Guénon, T. Burckhardt, Coomarswamy e altri grandi pensatori. Quest'ultimo, tra l'altro, nella sua pregevole raccolta di saggi Sapienza orientale e cultura occidentale dedica un saggio a L'illusione dell'alfabetismo. Del resto, basta dare una scorsa veloce al panorama culturale odierno per rendersi conto della vacuità che lo caratterizza. Che se ne fanno allora del saper leggere e scrivere le masse moderne? Alle masse è stato concesso di alfabetizzarsi unicamente per accedere alla neolingua barbarica, oggi imperante, finalizzata all'omologazione di tutte le differenze in nome di un'impossibile uguaglianza degli enti. In realtà, quelli che si avvalgono della cultura per occuparsi delle questioni fondamentali rimangono puntualmente pochi.
L'articolo in questione mi offre pure l'occasione di porre il dito in quella che ritengo una piaga del cosiddetto "tradizionalismo", coincidente, a livello ideologico e politico, con una sedicente "destra": il più totale disinteresse per l'ecologia interna ed esterna. E' senz'altro vero che negli ambiti ecologici prosperano spesso idee antitradizionali e materialistiche aberranti: la negazione tout court dell'antropocentrismo e dello status di prima persona dell'ánthropos, l'appiattimento degli enti a livello biologico, la confusione tra relativo e assoluto, ecc.; ciò tuttavia non giustifica l'atteggiamento di chi fa di ogni erba un fascio. L'assumere posizioni rigide e cieche e il non esercitare la discriminazione sono comportamenti che conducono alla sterile contrapposizione degli estremi.
Personalmente credo invece che il momento attuale sia il più opportuno per imparare ad esercitare il discernimento, riponendo innanzitutto al Centro il senso essenziale del nostro esistere (etim.: uscir fuori dall'Essere); significato che non spinge verso un "diventare" questo o quello, bensì ispira ad illuminarci, a risvegliarci e a reintegrarci nella Coscienza divina onnipervadente, la quale, come insegnano le Upanishad e altri testi sapienziali atemporali, non nasce e non muore.
Senza tale radicale riorientamento, qualsiasi azione non è che un cieco brulichio votato al niente. Scrive Andrea Emo in un suo Quaderno di metafisica: «E che cosa è infine per noi degno, degno di amore di attenzione di intenzione, di volontà? Nessuna cosa, nessun oggetto, poiché le cose e gli oggetti sono transitori, la loro natura è di sfuggire, di sparire, di attirare l'un l'altro e di trasformarsi l'un l'altro. Chi segue questi oggetti con entusiasmo cioè con passione, è trascinato da questo processus in infinitum, è trascinato al suo intenso processus in infinitum cioè alla follia. Quello in cui si deve porre volontà e fede è l'eterno».
A mio modesto modo di vedere, la citazione testé riportata non implica il disprezzo per la natura, intesa quale oggetto, né un'impossibile astrazione da essa, volta ad adharmiche biotecnologie o ad iperboliche "conquiste" scientifiche; essa, piuttosto, evidenzia l'assurdità dell'assolutizzare la "datità" relativa, estrovertendo in toto l'attenzione e proponendo miraggi di progresso irraggiungibili e insensati. Lo si deve sottolineare: l'uomo resterà sempre un alienato sino a che non comprenderà che la natura è la vibrazione, lo spanda, per dirla in sanscrito, dell'Ineffabile. Idea, intelligenza e azione sono un unicum, non realtà separate. Perciò l'ammirazione, la venerazione e la contemplazione della natura, nella sua coincidenza esterno-interno, sono segni di risveglio che non debbono e non possono restare lettera vuota, ma tradursi in stile di vita, in armonia, salute ed equilibrio. Giacchè è soltanto col superamento del dualismo conoscenza-azione, o individuo-mondo, che si può liberare la Via ostruita dall'ignoranza e dall'incoerenza ed emanciparsi dal nichilismo.
Giuseppe Gorlani