E' senz'altro difficile comprendere il messaggio fondamentale (il senso o significato originario e originale – e, vedremo, di tutto ciò che è) della monumentale opera di Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend dal titolo italiano Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo.
A leggere Google, nuovo Mercurio e quindi nuovo messaggero del Deus sive Natura di spinoziana memoria, "Il mulino di Amleto" è uno di quei rari libri che mutano una volta per tutte il nostro sguardo su qualche cosa – in questo caso sul mito e sull'intera compagine di ciò che si usa chiamare "il pensiero arcaico". Martin Heidegger l'avrebbe definito piuttosto "il pensiero dell'inizio" e ancor più "il pensiero dell'inizio e di ogni inizio che è".
Ma, ancor prima di cercare e analizzare il significato più profondo dell'Opera, occorre premettere che la maggiore preoccupazione dei due Autori, più volte manifestata nel corso della stessa, sia quella di smarrire o perdere del tutto la memoria del pensiero dell'inizio: Si può ben dire che la tradizione si serve dei veicoli più strani per avanzare attraverso il tempo della storia. O non si dovrebbe forse dire "si serviva"? di fronte alla prorompente rivoluzione delle "anime semplici" contro qualsiasi forma di pensiero razionale, c'è poco da sperare che i nostri odierni gnostici affideranno ai posteri una qualsivoglia tradizione (Adelphi, ed. 2000, nota n. 1 p. 161).
E allora appare fin troppo palese che il primo enigma riguardi il perché gli odierni gnostici dovrebbero affidare ai loro posteri (l'opera in originale, dal titolo Hamlet's Mill è del 1969) una qualsivoglia tradizione?! E perché una qualsiasi?!.
Ma la risposta a questo primo enigma è data già nel testo che immediatamente precede: Per quanto possa sembrare assurdo, le numerose sette gnostiche, che odiavano i filosofi e i matematici più di ogni altra cosa, non hanno mai negato o messo in dubbio la validità dei loro "malvagi" insegnamenti. Disgustati fino alla nausea, essi impararono le rotte ascensionali per attraversare (o percorrere) quelle sfere abominevoli dominate dal numero, create dalle potenze del male. Ciò significa che abbiamo già a che fare con tutti quei manichei – artefici delle potenze del male – (che) rilevarono in blocco le antiche tradizioni, limitandosi a cambiarne i segni, secondo la norma di ogni sistema gnostico (Ibidem).
E' pertanto sufficiente che – potremmo dire principio di ragion sufficiente per chi conosca abbastanza bene le cose in modo tale da capire e spiegare una realtà di fatto – gli odierni gnostici affidino ai posteri una qualsivoglia tradizione, ovvero una forma della tradizione che appartiene al mito e all'intera compagine di ciò che si usa chiamare il pensiero dell'inizio e di ogni inizio che è. Aggiungendo altresì, per quanto riguarda gli gnostici – che usano servirsi anche dei manichei – che: Il loro "Padre della Grandezza" non avrebbe sicuramente mai creato un cosmo (Ibidem).
E ancora: perché i due Autori nutrono questa loro forte preoccupazione e quanto è grande questa stessa preoccupazione? Senz'altro, la preoccupazione è legata al possibile smarrimento o possibile perdita del senso o significato originario e originale, ma la preoccupazione stessa è altresì grande perché al tempo della pubblicazione dell'Opera una sensazione già diffusa è che "le discontinuità del nuovo linguaggio poetico – osserva Barthes – istituiscono una Natura frammentaria che si rivela solo a blocchi … La Natura vi diviene una discontinuità di oggetti solitari e terribili, perché i loro nessi sono virtuali". Di più: sono arbitrari (Ibidem, p. 398).
Come arbitrarie sono tutte le opinioni riguardo al contenuto racchiuso in un testo o documento quale che sia. Fino al punto che, direbbe ancora Heidegger, nel suo "Parmenide" "tutto dipende dal nostro prestare o meno attenzione al richiamo proveniente dalla parola pensante. Solo così, prestando attenzione al richiamo, conosciamo il detto" (Adelphi, ed. 2005, p. 34).
Ricapitolando: gli antichi sapienti o gnostici – che conoscono la "Via" che si doveva imparare a memoria e che conduce "fuori e in alto" – trasferiscono in blocco le antiche tradizioni ai manichei, che si limitano a cambiare i segni (Il mulino di Amleto, op. cit., p. 160) e quindi a raccontare nuove storie che conducano alla comprensione dell'"antico tesoro", così chiamato da Aristotele in un passo assai poco noto della sua Metafisica (Ibidem, p. 183), ovvero – si diceva qui nell'incipit – il senso o significato originario e originale di tutto ciò che è.
E allora torniamo ora alla ricerca e all'analisi dell'Opera, accettando il suggerimento heideggeriano di prestare attenzione al richiamo proveniente dalla parola pensante. In Il detto di Anassimandro – parte integrante e finale del testo racchiuso nei suoi Holzwege -, Heidegger dice che "se l'essere, nella sua stessa essenza mantiene l'essenza dell'uomo, allora all'uomo non resta che poetare l'enigma dell'essere" (Sentieri interrotti, trad. P. Chiodi, La Nuova Italia editrice, 1968, p. 348).
Ma se, letteralmente, così fosse, allora dovremmo concludere che anche gli antichi gnostici – come tutti i manichei, filosofi e matematici che ne rilevarono in blocco le antiche tradizioni – non fossero a conoscenza del senso o significato o verità dell'essere (aletheia) e che altro non resterebbe che poetarne l'enigma … altro che dis-velamento.
Pertanto, occorre senz'altro cercare e avventurarci ancora – e rispetto agli antichi supponendo che lo sapessero – scoprire di nuovo il senso o significato originario e originale di tutto ciò che è, quale che sia.
Partiamo allora dall'Introduzione all'Opera dei due Autori.
Nell'Introduzione, essi parlano di "un regno quasi mai esplorato e registrato sulle carte (…) esso non possiede un ordine deduttivo in senso astratto (ovvero causale), ma assomiglia piuttosto a un organismo tenacemente racchiuso in sé o, meglio ancora, a una monumentale Arte della fuga" (Il mulino di Amleto, op. cit., p. 21).
Nell'Opera, è questo ciò che rappresenta il pensiero dell'inizio e di ogni inizio che è.
E allora: in che cosa consiste quest'arte? Chi ne è l'interprete? Cosa rappresenta?
Al primo quesito è certo facile, almeno in principio di ricerca e analisi, rispondere. Basta leggere l'Opera, almeno una volta e per intero, e rilevare che protagonista assoluta, oggi si direbbe star guest, è la Teoria della precessione degli equinozi. Ma, occorrono subito dei chiarimenti. Che si tratti di una teoria, e quindi in fondo di un'opinione, è cosa che non si dovrebbe discutere. Ma i manichei credono invece che una teoria sia una verità, pur se espressa in forma di più antica tradizione.
La confusione è allora grande sotto il cielo, perché in vero questa stessa arte o scienza (regale) piuttosto racchiude in sé quel senso o significato che costituisce o meglio fa da fondamento a tutto ciò che è. Si tratta della medesima "arte o scienza di Amleto", l'Amlodi originale, Signore dell'Età dell'Oro, Re nel Passato e nel Futuro (Ibidem). Ovvero: Dio e Uomo nel passato, nel presente e nel futuro … fatto salvo che, come ripete ancora Heidegger, l'essere, nella sua stessa essenza, mantenga l'essenza dell'uomo. Amleto dunque sa: "il suo lucido intelletto è rimasto al di sopra del conflitto dei moventi" (Ibidem, p. 21).
Ma: cosa sa? A mano a mano che seguiamo gli indizi – stelle, numeri, colori, piante, forme, poesia, musica, strutture – scopriamo l'esistenza di una vastissima intelaiatura di rapporti che interessa molti livelli (Ibidem, p. 27). E ancora: cosa essenzialmente (alla maniera di Heidegger) sa? Egli sa che: ci si trova all'interno di una molteplicità riecheggiante, ove ogni cosa reagisce e ha un suo luogo e un suo tempo stabilito (Ibidem).
Sono dunque quasi le stesse parole usate da Heidegger, e che qui riprendiamo: tutto dipende dal nostro prestare o meno attenzione al richiamo proveniente dalla parola pensante. Solo così, prestando attenzione al richiamo, conosciamo il detto.
E il detto dice di tutti coloro che, dei pionieri e scopritori di piste, come Gilgamesh, portano le molteplici misure da quel centro misterioso chiamato Canopo o Eridu o "sede del Rta" (Ibidem, p. 367). Ove ogni cosa reagisce a suo modo esclusivo e pertanto ha un suo luogo e un suo tempo stabilito. Ciò che gli gnostici sanno e dicono essere la giusta misura.
Le nuove sintesi, se ancora ve ne sono di possibili, si trovano oltre l'orizzonte (G. de Santillana-H. von Dechend, Ibidem, p. 398).
Angelo Giubileo
--