20 10 2023, Palazzo Ellena, Brusasco (TORINO)
di Alessio Varisco
Wir hören schweigend zu
Di Giancarla Parisi -in arte Carla Rhapsody- leggiamo molte informazioni. Possiamo sfogliare i suoi cataloghi, o il suo sito.
In verità la conosco e, da anni, mi scrive di ciò che è per lei l'arte e la sua pittura.
Eppure non vi parlerò di quello. Prima di scrivere ho pensato. Forse, non abbastanza su cosa sia l'arte. A un certo punto ho riflettuto, in silenzio, dall'alto della mia torre medievale guardando la piana là distesa sotto di noi e far comparsa oltre il monte uno struggente tramonto caleidoscopico. E mi sono detto che occorre fare silentium per ascoltare noi stessi e lasciare che un colore, una tavola -con quegli ori che mi riportano al grande maestro senese Simone Martini e soprattutto lo ieratico pittore biturgese Piero della Francesca- o una tela possano dirci cosa siamo. Già, ma noi che siamo? Un intrico di colori, di sentimenti e di emozioni che albergano nel nostro essere.
E guardando i quadri dell'artista Carla Rhapsody mi riecheggiano le parole di Blaise Pascal che nei suoi "Pensieri" analizza il tempo: «nous ne nous tenons jamais au présent. Nous anticipons l'avenir comme trop lent à venir, comme pour hâter son cours; ou nous rappelons le passé pour l'arrêter comme trop prompt. Si imprudents, que nous errons dans les temps qui ne sont pas à nous, et ne pensons point au seul qui nous appartient: et si vains, que nous songeons à ceux qui ne sont point, et laissons échapper sans réflexion le seul qui subsiste. C'est que le présent, d'ordinaire, nous blesse. Nous le cachons à notre vue, parce qu'il nous afflige; et s'il nous est agréable, nous regrettons de le voir échapper. Nous tâchons de le soutenir par l'avenir, et pensons à disposer les choses qui ne sont pas en notre puissance, pour un temps où nous n'avons aucune assurance d'arriver.
Que chacun examine ses pensées, il les trouvera toutes occupées au passé et à l'avenir. Nous ne pensons point au présent; et, si nous y pensons, ce n'est que pour en prendre la lumière pour disposer de l'avenir. Le présent n'est jamais notre fin: le passé et le présent sont nos moyens; le seul avenir est notre fin. Ainsi nous ne vivons jamais, mais nous espérons de vivre; et, nous disposant toujours à être heureux, il est inévitable que nous ne le soyons jamais»1.
Riguardo le tavole e le sue tele che mi parlano di un reticolo di miasmi, un vortice di sentimenti aggrovigliati -che sono espressione di sé in occhi e labbra che bramano l'esistenza-, sinapsi che si fanno Luce, come lucciole in una notte d'estate, in un parco incantato tra cinghiali che si vanno ad abbeverare appena sorge la luna, con qualche daino impaurito che sommessamente si avvicinano ai canneti, mentre giù sulla collina quasi lunare fatta di minuscole e sonore -quasi come dei sonagli- le piume di fagiano in mezzo al campo di grano -seguo il movimento fluttuante di quelle spighe che si spengono lentamente da un oro intenso ad un bronzo scuro, sino quasi a scomparire alla vista- che mollemente si lascia scuotere dal vento e pare di ascoltarne la voce. Ascolto là in fondo cosa sta accadendo: sento il maschio di fagiano iniziare il suo canto, mentre sulla parte dei calanchi -tra argille fossili e bivalvi leonardeschi- una coppia di volpi sembra uscita da un cartoon di Walt Disney, pare che lui le stia facendo chissà quale discorso, le stia cantando alla luna la sua voce, quasi uno squittio comico. Questa è arte, come la luna piena rossa riflessa in quella pozza d'acqua, oppure il temporale con i suoi lampi di giorgionesca memoria.
Ma come la nostra Pittrice, anch'Io sostengo che l'arte non abbia bisogno di spiegazioni, basta guardarla. Anzi, oserei dire che "il quadro parla". Quindi occorre sedersi, svuotarsi dei propri "pre-supposti" e lasciare spazio alla voce che solo un pittore può lasciarci. Già tra i codice estetici e musicali ritengo che la pittura sia una forma assai complessa: in essa ci fu il primo segno che molto probabilmente un antico druido -o capo tribù- segnò lasciando dei "signa" che sono essi stessi alfabeto ancor quando la pittura non era ancora, oppure già quadri prima che l'arte fosse! E in questo, osservando i quadri di "Raphsody", posso convenire che l'arte sia la sintesi, oserei di un demiurgo che volle incidere o semplicemente bagnando le proprie dita nel sangue misto ad elementi della Natura -pietre e minerali sbriciolati a farne dei pigmenti da impastare con uova- lasciare un'istantanea di scene di caccia. Già, la caccia. Quest'Artista ricorda per certi versi Diana -chi la conosce sa la complessità della ricerca che non è mai semplice- che si fa acuta per lasciare spazio alla poesia fatta in immagini. Si pensi alle Grotte di Altamira e Lascaux definite le "cappelle sistine" della Pre-Istoria. Che ruolo aveva l'arte in quel tempo? Perché disegnare quei tratti colorati -magnifici e eterni che l'UNESCO li ha inseriti nella lista dei Patrimoni dell'Umanità- aveva un enorme "significato": da meri simboli divengono linguaggio, ma si badi attentamente ancor prima esistesse la pittura e soprattutto la scrittura, dato che non vi era ancora un alfabeto. Quei segni apotropaici incisi dal "Sacerdote" di quella Comunità -che era anche uno sciamano, uno stregone, forse il primo alchimista e medico ante litteram- erano un grande gesto, ma avevano un profondo significato liturgico -nell'accezione greca di "leitos ergon", ovvero azione del popolo- divenendo persino preghiera. L'arte, difatti è un'espressione mirabile dello Spirito e si eleva a vette ineguagliabili.
Occorre ascoltare questi quadri. In silenzio.
Ebbi già modo di scrivere di Carla Rhapsody interpretando alcune sue opere in una mia critica: «Dovendo presentare Giancarla Parisi che taluni esprimerebbero artista transumanista, con divagazioni ed ascendenze futuriste, vorrei innanzitutto chiedere che cosa sia per questi l'Arte. Credo che sia ricerca di Sapienza, di raccogliere l'Arcano. Si pensi all'homo faber, nacque ed inventò la ruota per muoversi, le palafitte per evitare che le esondazioni gli portassero via il suo alloggio e il fuoco per poter cuocere e così cibarsi di cibi, alchemicamente, trasformati da solidi in liquidi e al contrario... Ma quell'uomo archetipico, primitivo non parlava. Non conosceva suoni, se non i barriti, i muggiti, i nitriti degli altri esseri. Sino a che un demiurgo della storia, lo sciamano, inventò le pitture rupestri: un medium fra l'umano ed la μετά τα Φυσικά, (metá tà physicá), ovvero "oltre la fisica". Insomma se potessi usare una metafora l'uomo ha da subito pensato al trascendente, cercando di potersene appropriare, di mettere in comunicazione, cercando un suono ed inventando dalla Pittura tutti gli altri linguaggi: la scrittura, la parola.
Certo è che Giancarla non ha saputo apprezzare il silenzio, o meglio ha cercato nei suoi silenzi di dare spazio a quell'espressione caratteristica che è la pittura trasportando le sue competenze ed abilità che spaziano -sin da giovanissima- dalle fotografie di moda alle relazioni pubbliche. In questo humus ha permeato le proprie abilità, ha saputo ascoltare i propri sogni, scoprendo le sue visioni facendole divenire reali. Una delle difficoltà maggiori è tradurre in realtà quanto visto, quanto pensato, oppure sognato. La situazione che si viene determinando è di una fase liminare in cui l'Artista -per essere tale- deve travalicare l'ignoto, facendosi demiurgo ed in assoluta velocità cercare di raccogliere ciò che sente, nel minor tempo possibile, esprimendo quanto ha interiormente assimilato.
Credo non esistano, ed addirittura potrebbero limitare, l'Esperienza Artistica della nostra Artista! Certamente utilizza svariate tecniche spaziando da lavori di grafica, soprattutto di transportation e di interior design. Ma al di là delle apparenti ascendenze, percepibili nella sua opera con espliciti rinvii all'Art Nouveau -saccheggiando dalla fantastica Tamara De Lempicka al geniale Gustav Klimt- credo che il suo "modo" di fare arte sia molto di più che una semplice opera: è una confessione tenace. Il sapersi sedere, ascoltare, forse quando le brume ci richiamano al silenzio interiore, magari dinanzi ad un buon thea, ad un camino scoppiettante per lasciare che l'eidos divenga Eikon!
Quest'esperienza estetica accade "in limine" fra ciò che prova l'Artista ed il supporto che si trova a lei dinanzi. Una pittura dal tratto marcato, dai rimandi classici alle forze che compongono l'Universo -aria, acqua, terra e fuoco- che sottolineano la sua necessità interiore di essere precisa ed introspettiva. E "divorando" le sue tele, repentinamente con un click, a farle scorrere sul mio monitor, non posso che pensare al filosofo Martin Heidegger che così scrisse: «la domanda: "Perché vi è, in generale, l'essente e non il nulla?" reclama il primo posto anzitutto perché è la più vasta, in secondo luogo perché è la più profonda, infine perché è la più originaria.....per il fatto che questa domanda è la più vasta è anche la più profonda. "Perché in generale vi è l'essente ...?" Chiedere perché è come chiedere: quale ne è la ragione, il fondamento? Da quale fondamento l'essente proviene? Su quale fondamento si basa? A quale fondamento risale?»
Il Grund 2che sarebbe il fondamento della sua esperienza è dunque Assoluta!
Credo che quest'Arte debba essere letta e vissuta come un'esperienza interiore di un'anima inquieta che pregna delle molte sfaccettature e contraddizioni rivela una profonda lettura della realtà. Quelli che potrebbero apparire dei meri significati criptici sono in realtà dei simbolici legati al significato della vita, al suo scorrere, all'ineludibile divenire delle cose dinanzi all'Arcano. Tutto si compone in quegli sguardi sempiterni che paiono scrutarci per darci risposte, per risvegliare in noi l'Essenziale di quel sentimento che è in noi.
Fuori piove ed "ascolto" queste Opere, ne odo la Voce e sento che questa poesia di forme e di colori è vera poesia, non falsa, vera che esprime questo travagliato presente. Quegli sguardi Mi sono rimasti dentro, quindi comunicano quella profonda e originaria ricerca di senso!
Ora buona visione a voi e scusate per la Nostra brevità»3.
Oggi a quel suo Manifesto "Transhumanist Art" di una decina d'anni fa si aggiunge anche questo nuovo "A.I." ovvero Artistica Intelligentia. L'arte in effetti non è solamente una confessione tenace, oppure una dichiarazione d'intenti -tra cui quella elegiaca di questo Imperatore o di quel Romano Pontefice-, no, vi sono forme artistiche che sono esse stesse Eternità perché rappresentano quel momento che a metà tra εἰκών -ovvero l'eikon che è una sacra immagine- e l'εἶδος che in italiano è "eidos" che significa "aspetto", "forma", dalla quale deriva anche εἴδωλον -ovvero éidõlon- vuol dire "idolo". Ma occorre precisare che Giancarla Parisi non ha realizzato retoriche d'immagini, ma soprattutto miti e reso spazio non già all'onirico, ma al magico che è in certi sogni autentici che sono quelli appena sognati.
Quindi in questa dicotomia tra il mondo delle immagini e quello delle idee sta, in effetti, la vera arte che immortale non già una semplice visione, ma anche un certo pensiero.
Credo di aver espresso solo una parte del tumulto di un'arte che deve essere ascoltata in silenzio, in piedi, guardando ogni tela da diverse angolature, provando a non pensare, ma a vivere dell'esperienza che il colore può donarci. Grazie, quindi, a questa talentuosa artista che ci consente di riflettere perdendoci in quegli sguardi e in tinte che riporta anche alla classicità.
Uff. Prof. Alessio Varisco,
Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana
Direttore Antropologia Arte Sacra
1B. Pascal, Pensées, Fragment 172: «Noi non ci atteniamo mai al tempo presente. Anticipiamo il futuro come troppo lento a venire, come per affrettarne il corso; oppure ricordiamo il passato per fermarlo come troppo rapido; così imprudenti che erriamo nei tempi che non sono nostri, e non pensiamo affatto al solo che ci appartiene, e così vani, che riflettiamo su quelli che non sono più nulla, e fuggiamo senza riflettere quel solo che esiste. Il fatto è che il presente, di solito, ci ferisce. Lo dissimuliamo alla nostra vista perché ci affligge; se invece per noi è piacevole, rimpiangiamo di vederlo fuggire. Tentiamo di sostenerlo per mezzo dell'avvenire, e ci preoccupiamo di disporre le cose che non sono in nostro potere, per un tempo al quale non siamo affatto sicuri di arrivare.
Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre tutti occupati dal passato e dal futuro. Il presente non è mai il nostro fine: il passato ed il presente sono i nostri mezzi, solamente il futuro è il nostro fine. In questo modo non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e, disponendoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai».
2 Che in tedesco significa sia "significato" che "terreno sabbioso", proprio perché alcuni si fanno fragili, come appunto un terreno non compatto, ma fatto di granelli di sabbia in cui si può affondare.
3A. Varisco, "In limine". La pioggia di sentimenti, 2014.
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Giancarla Parisi Rhapsody