Angelo Giubileo: Il maestro e l'allieva: alla radice del tempo presente.

 
Da: Angelo Giubileo <angelogiubileo6@gmail.com>
 
E' sempre una questione di potere.

Ciò che attiene all'umanità, è sempre una questione di potere ma intesa originariamente - direbbe Heidegger mediante il pensiero dell'inizio dell'inizio - è detto <possibilità>. Ma ancora, per dirlo alla maniera di Aristotele, il potere è detto (Heidegger dice che "è stato ridotto a") anche <potenza> ma separato dall'atto. Il potere è così concepito dallo stesso Heidegger come "potenza dell'essere-presente", nel significato riconducibile al termine, ancora fondamentale nello stesso Aristotele, di ἐνέργεια. Termine questo che erroneamente, ripete ancora Heidegger, è stato tradotto con il significato viceversa di actualitas.

Ha scritto Luciano Canfora che "Cesare aveva già la chiara percezione di ciò che il pensiero politico moderno di orientamento realistico ha messo in luce, con Niccolò Machiavelli e Thomas Hobbes: la indivisibilità del potere. Donde la felice sentenza hobbesiana secondo cui il tiranno non è che il re visto con gli occhi dei suoi nemici (…) Fondò il <cesarismo>: cioè la forma di potere che destra e sinistra in epoca a noi vicina hanno praticato reciprocamente rinfacciandosela" (La Lettura, 8 aprile 2012; anche in Il passato presente, Sandro Teti editore, 2022, p, 17). Cesare fu dunque un tiranno per i suoi nemici, i <cristiani>, che Giustino chiamava "crestiani" (cfr. anche http://mitodicristo.blogspot.com/2020/03/i-crestiani.html il 02.03.2023); e, allo stesso modo, i cristiani saranno tiranni per tutti i loro futuri nemici. Questa è la spiegazione, essenziale, del detto di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.

Ma, realisticamente, il detto cosa vuole esattamente dire?

Non ci può essere alcun dubbio sul fatto che Hannah Arendt sia stata una tra i più fulgenti testimoni della più recente e atroce storia umana. Nel 1958 - otto anni dopo la pubblicazione da parte del suo maesto dei testi di Holzwege (Sentieri interrotti, postea) - la Arendt dà alle stampe un saggio dal titolo originale The uman condition, tradotto in italiano con il titolo Vita activa. La condizione umana e a cui farò qui riferimento nell'edizione tascabile della Bompiani del marzo 1997. L'indagine della Arendt attiene nel saggio, in modo esclusivo, più che alla "condizione umana", alla questione del potere "indivisibile". Questione attuale, quasi sempre, ma comunque a partire dai tempi in cui la questione da "individuale" diventa "sociale" e poi "politica". A tale proposito, Hannah Arendt scrive: "… l'antica traduzione del zoon politikon di Aristotele con animale sociale (è) già reperibile in Seneca, che poi, nella traduzione canonica di Tommaso d'Aquino, divenne: homo est naturaliter politicus, id est socialis ("l'uomo è per natura politico, cioè sociale). Più che una teoria elaborata, questa inconsapevole sostituzione del sociale al politico rivela fino a che punto la concezione originale greca della politica fosse andata perduta" (op. cit., p. 19).

In realtà, quella che poteva sembrare perduta per sempre era piuttosto una concezione sociale più antica dell'arte della politica stessa, e cioè la concezione della <famiglia> come nucleo comune, primevo ed essenziale dell'umanità.

Ma la Arendt illustra fulgidamente anche il rapporto esistente tra due antichissime e diverse concezioni, ma sarebbe meglio dire due questioni indissolubilmente legate al destino, e in definitiva al potere-possibilità-potenza dell'uomo in quanto specie: la <natura> e la <condizione> umana. La Arendt dice a tale proposito che nella visione della Bibbia, da cui ha tratto origine l'Occidente cristiano attuale, sono presenti entrambe le questioni risolte simbolicamente nella figura del Cristo Salvatore.

Quanto alla questione relativa alla condizione umana, la Arendt pone quale pensiero dell'inizio il messaggio di Genesi 1, 27: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (traduzione CEI, così come di seguito per quanto attiene ai brani della Bibbia qui citati). E dunque la creazione ab origine di un genere plurale, maschio e femmina, destinato alla moltiplicazione della specie umana. Così come il verso stesso viene ripreso nel racconto di Matteo 19, 4 per la parola del Cristo stesso: "Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina …". Ma nella Bibbia, così come nel Nuovo Testamento, vi è un altro pensiero dell'inizio, il pensiero di Paolo che in 1 Corinzi, 11, 8-12 dice: "perché l'uomo non viene dalla donna, ma la donna dall'uomo; e l'uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Perciò la donna deve, a causa degli angeli, avere sul capo un segno di autorità. D'altronde, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo senza la donna. Infatti, come la donna viene dall'uomo, così anche l'uomo esiste per mezzo della donna e ogni cosa è da Dio.". E dunque, conclude la Arendt,  Paolo intende esattamente dire che "la differenza di genere fu creata dall'uomo per l'uomo" (op. cit., nota 1, p. 243).

Così che ciò che sembra una contraddizione interpretativa del messaggio, si rivela invece una dissertazione su due questioni, che dicevamo entrambe legate al destino di ogni singolo uomo e dell'umanità tutta intera. Infatti, il pensiero di Paolo - che la Arendt dice legato alla prospettiva salvifica - entra nel merito della questione che attiene alla <natura> indivisibile e incerta dell'uomo e quindi dell'umanità; mentre il pensiero del Nazareno, legato a una prospettiva viceversa fideistica, attiene alla <condizione> certa e divisa dell'uomo e dell'umanità, maschio e femmina li creò. Attualmente anche questa condizione vorrebbe essere resa incerta, ma solo eventualmente nel futuro, perchèla storia e il dato non possono essere cancellati: a buoni intenditori poche parole!

Ma, torniamo alle cose serie…

E' Agostino, dice ancora la Arendt, che certifica questa nostra lettura. E' Agostino infatti che risolve parzialmente la questione del potere (umano) rispondendo positivamente alla domanda: chi sono io? Un uomo. Ma, altrettanto negativamente, alla domanda: cosa sono io? Lo sa solo <Dio>. Dio è l'Ignoto, il Senza Nome, l'Illimitato di Anassimandro, e anche l'Incerto di Ka-Prajapati, il signore vedico di tutte le cose, che non sa neanche lui stesso chi sia. E quindi: l'enigma dell'Essere di cui ci dice infine anche Heidegger, sulla scia di Parmenide e dei saggi presocratici.

La novità del dio-cristiano, rispetto al dio-ebreo, è legata dunque alla condizione dell'uomo; allorquando storicamente il dio uno e trino dei cristiani prende il posto del dio unico degli ebrei. Ma, non si tratta di una vera novità. Diremmo piuttosto che si tratta di una novità in "Occidente" indotta per l'appunto dal cesarismo e quindi legata essenzialmente alla questione del potere, che Cesare, sul modello dei "tiranni" (nel senso precitato di Canfora) in "Oriente", giudica indivisibile. E infatti anche il modello trinitario del dio - che sembra avere un'ascendenza egizia nel culto di Iside, Osiride e Horo (cfr. in particolare Plutarco, "Iside e Osiride") - finisce con l'essere una riedizione di culti ancestrali e comunque già noti nell'Oriente pre-elamitico.

Ad esempio potrebbe trattarsi anche del culto più antico di Anu, Eulill ed Ea, laddove però il mito della creazione incontra già la teoria scientifica della precessione equinoziale, di cui ci dicono diffusamente e con altrettanta magnificenza Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend in Il mulino di Amleto: "Può essere Marduk che per primo attraversò i cieli e misurò le regioni (n.d.r.: cioè le divise): <Oltrepassò il cielo, ispezionò i luoghi, Commisurò Apsu, dimora di Nudimud (= Enki/Ea). Misurò, egli, il Signore, la forma di Apsu; un palazzo simile, Esarra, egli eresse, Esarra. Il palazzo Esarra, che aveva costruito come cielo, lo fece abitare ad Anu, a Eulil e a Ea come loro città> (EE, IV, pp. 141 sgg.; Ebeling, in AOTAT, p. 120 in Il mulino di Amleto, edizione Adelphi 2000, p. 317). Così che: "La geografia è sin dall'inizio derivata dall'uranografia, e a ciascun luogo <sopra> ne corrisponde uno <sotto>.Esistono diversi, se non addirittura numerosi esempi di tali proiezioni – si sono citati i casi del tempio di Marduk a Babilonia = quadrato di Pegaso e naturalmente di Eridu = Canopo – e, invece di parlare sempre di <culti locali>, si dovrebbe cercare di scoprire, per le città mesopotamiche, a quali <case>, o a quali <hypsomata/esaltazioni> dei pianeti (e di quali) esse corrispondessero; allora forse si capirebbero meglio anche i tanto celebrati <viaggi degli dei>" (op. cit., p. 376).

Ma, se questa ricostruzione non dovesse convincervi più di tanto, oltre la lettura di Marcel Granet risalente a un'antichità del culto cinese che precede quello romano (cfr. M. Granet, Danze e leggende dell'antica Cina, Adelphi 2019), allora leggete cos'altro vi suggeriscono immediatamente i due stessi autori: "Altrove sarà invece Sun, lo Scimmiotto cinese, che trasse dall'<ombelico del profondo> la sua arma irresistibile: un enorme palo di ferro di cui una volta si era servito Yu il Grande per sondare le più abissali profondità del mare. In ogni modo. Sia la descrizione sublime oppure deliziosamente assurda, è compito <fondamentale> (alla lettera) del Sovrano di 'tuffarsi' nel topos dove i tempi hanno principio e fine, di prendervi un nuovo <primo giorno>. Come dicono i Cinesi, per diventare sovrani dello spazio occorre essere signori del tempo". Almeno fino a quando l'Essere, e quindi l'ἐνέργεια, "man-terrà l'essenza dell'uomo" (M. Heidegger, Sentieri interrotti, traduzione Pietro Chiodi, 1968).

Ciò che non toglie la possibilità che l'uomo agisca, secondo il principio dell'actualitas, credendo di vivere la potenza dell'esser-presente, nel qual caso lo farà però in un modo assai diverso dal modo descritto infine da Heidegger. La stessa differenza che esiste tra l'esserci secondo l'ἐνέργεια o l'actualitas. Nel primo modo, l'uomo ignorerà la sua propria <natura>, ma non sarà ridotto alla propria <condizione>, per mezzo della quale, con le parole di Johann Wolfgang von Goethe: "ciò che è umano è vissuto completamente soltanto da tutti gli uomini nel loro insieme".

Ha ragione Heidegger: è la natura che muove il destino degli uomini e in qualche modo ne muta la condizione.