Angelo Giubileo: Genesi

 

Nel Politico, "Platone per studiare meglio l'argomento affida allo Straniero di Elea l'idea di rivolgersi al mito, in particolare a quello dell'età di Crono (268d-274e). Narra lo Straniero che, mentre al tempo attuale la Terra e gli altri corpi celesti si muovono del moto che conosciamo, in passato, quando era Crono a governare, il mondo si muoveva in senso opposto. Questo movimento contrario aveva degli effetti notevoli sulla Terra e sui suoi abitanti: lo stesso ciclo della nascita e della morte era invertito rispetto all'attuale, e così gli uomini, invece di nascere da una madre, nascevano dal terreno già vecchi, e ringiovanivano con il passare del tempo, godendo senza sforzi dei frutti che la terra offriva loro spontaneamente. Tuttavia, anche quest'età dell'oro volse al termine, e, giunto il momento, Crono, da timoniere dell'universo, bloccò il moto del mondo, rovesciandone il senso di rotazione e causando enormi stragi, dando così inizio alla fase attuale. La vita nel nuovo ciclo è però ben diversa da quella del ciclo precedente, poiché piagata da una progressiva degenerazione che porta il mondo verso il caos. In questa nuova condizione gli uomini, privati della guida del dio, si trovarono inizialmente in difficoltà, e solo grazie ai doni degli dèi (in particolare, il riferimento qui è a Prometeo) poterono salvaguardare la propria esistenza e continuare a vivere" (da Wikipedia).

L'intento pertanto evidente è quello di ritenere il governo naturale dell'essere non più idoneo a mantenere un ordine tra gli uomini, così che necessiti piuttosto una guida e l'instaurazione di un nuovo ordine, non più "divino" ma "politico".

Allo scopo, da qui nasce il senso di quella che è tuttora l'impostazione del discorso (logos) dominante. Ma affatto pre-dominante. Ed è questo ciò che qui più interessa discutere e affermare.

Nel discorso mitologico, quale che sia, l'evento è descritto mediante la detronizzazione del dio originario (che sarà viceversa paragonato a un demone) da parte del nuovo dio (che in qualche modo ne ha usurpato il trono). Per molti se non tutti i dettagli esplicativi del caso, consiglio di leggere Il mulino di Amleto di Giorgio de Santillana e Herta von Dechend.

Ma: il termine "divino" deve essere piuttosto inteso come "natura" - a cui fanno riferimento dice Aristotele (Metafisica libro L 1074 b) in modo unanime i nostri più antichi progenitori - o "materia" di cui dicono invece i filosofi postsocratici alla stregua di Platone.

Ma, ancora: questa "natura" - nella Teogonia di Esiodo - è ciò che è pre-ordinato a Crono medesimo (1-136) e assume la duplice forma, Esiodo parla di sede, Heidegger dirà poi dimora, di Gaia e Tartaro, entrambi generati dal Caos che fu per primo (116-119).

Questa medesima "natura" è dunque portatrice di due valori, pesi, misure. Per inciso, Platone li chiamerà idee e vi costruirà la sua teoria, che però - dice Plutarco nell'adversus Colotem - ha finito con il generare una grande confusione nel linguaggio sovvertendo il significato stesso delle parole usate e in uso.

Dunque, questa "natura" - eterna - è portatrice di due misure; in forma contrapposte, ma in sostanza mescolate l'una all'altra in ordine a ogni ente o cosa di cui - ribadisce ancora una volta Plutarco - si ha necessariamente rappresentazione (ibidem). Così che, non sia e non è possibile all'uomo esprimere alcun giudizio in merito, necessita che egli sospenda ogni giudizio, secondo la più antica dottrina dell'epoche, che - dice Plutarco - Parmenide sia stato il primo a insegnare ai greci (ibidem).

Ma, anche riguardo al lascito di Parmenide, che a noi è piuttosto pervenuto, occorre sottolineare che lo Straniero di Elea conclude il suo discorso dicendo che "gli uomini posero duplice forma a dar nome alle loro impressioni: d'una non c'era bisogno, in questo si sono ingannati, l'una dall'altra figura distinsero e posero segni opposti fra loro, di qua il fuoco etereo vampante, utile, assai rarefatto, leggero, in se' del tutto omogeneo, altro rispetto all'altro; anch'esso però in se stesso notte cieca al contrario, forma densa e pesante" (fr. 7/8, V. 58-64).

Così che sia dimostrato in fine come, in generale, l'intero discorso non sia che una questione di etimologia o teoria per così dire onomastica: nomen omen. Pertanto, anche dopo millenni, il significato dei termini della tradizione "dio" e "divino" sono così correttamente interpretati e quindi saggiamente intesi da Plutarco: "... Come il sole e la luna e il cielo e la terra e il mare sono di tutti, anche se prendono nomi diversi, così anche le religioni e i modi di chiamare le divinità sono diversi da popolo a popolo a seconda delle singole tradizioni, e però tutti si riferiscono a una sola ragione prima, quella che ha dato ordine a questo mondo, e a una sola provvidenza che lo dirige, e a forze subalterne che hanno il compito di presiedere a tutte le altre. Tutti gli uomini, poi, usano dei simboli consacrati, alcuni oscuri, altri più chiari, e col loro aiuto cercano di guidare il pensiero lungo la via del divino: ma i pericoli sono tanti. C'è chi sbaglia completamente la strada e va a scivolare nella superstizione, e c'è anche chi riesce a sfuggire al pantano della superstizione ma poi precipita senza accorgersi nel baratro dell'ateismo" (Iside e Osiride, 67, 377-395).

Beninteso: "È per questo che inoltrandoci in tale cammino noi dobbiamo prendere come guida ai suoi misteri un criterio razionale che nasce dalla filosofia" (ibidem, 68, 1-4). Al quale i nostri più antichi progenitori diedero il nome di epoche e col quale "devotamente analizzare una per una le affermazioni in materia religiosa e le diverse liturgie ... così che anche noi dobbiamo evitare l'errore di interpretare in modo scorretto ciò che invece l'uso religioso ha stabilito correttamente riguardo ai sacrifici e alle feste" (ibidem, 68, 4-6; 10-14). Naturalmente: liturgie, riti, sacrifici e feste intese, correttamente, in senso sia religioso che laico.

Anche a dispetto delle considerazioni negative che Platone svolge riguardo ai filosofi nel Teeteto e in particolare per l'aneddoto della servetta di Tracia raccontato da Socrate: "(Talete), mentre studiava gli astri e guardava in alto, cadde in un pozzo. Una graziosa e intelligente servetta trace lo prese in giro, dicendogli che si preoccupava tanto di conoscere le cose che stanno in cielo, ma non vedeva quelle che gli stavano davanti, tra i piedi. La stessa ironia è riservata a chi passa il tempo a filosofare (…) provoca il riso non solo delle schiave di Tracia, ma anche del resto della gente, cadendo, per inesperienza, nei pozzi e in ogni difficoltà" (Teeteto, 174 a-174 c).

Angelo Giubileo

 *Photo libro dell'Autore